“Il PNNR traccia la strada per i prossimi cinque anni”
Intervista a Chiara Braga, Deputata e responsabile Transizione ecologica, sostenibilità e infrastrutture nella segreteria del Partito democratico

On. Braga, lei è laureata in pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale e anche nel corso del suo impegno politico e amministrativo si è trovata spesso ad operare nella lotta ai crimini ambientali e a favore della difesa del territorio. Da passione e studio a impegno concreto.
Devo ammettere che le capacità tecniche e di analisi acquisite nel mio corso di studi universitari al Politecnico di Milano mi hanno certamente aiutata nel comprendere meglio quel fenomeno grave e di assoluta urgenza per il Paese rappresentato dalle cosiddette “ecomafie”. Quando ho assunto, nel 2017, la carica di Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle Attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati in Italia venivano commessi circa 34.648 reati accertati, alla media di 4 ogni ora, con un incremento del +23.1% rispetto al 2016. E la criminalità ambientale è purtroppo attiva ancora oggi in tutte le filiere dell’economia circolare: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici di animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili e alla distorsione dell’economia circolare, agli incendi. Ora però, grazie anche al lavoro della Commissione che ho presieduto, inquirenti e forze di polizia hanno potuto dotarsi di nuovi strumenti per la lotta al crimine ambientale: la nuova legge in materia di “delitti ambientali” con norme più puntali e stringenti per affrontare un fenomeno che stenta ad affievolirsi – anche in tempi di pandemia – e la nuova legge sul Sistema nazionale delle Agenzie Ambientali che affianca alla repressione del crimine una stretta attività di prevenzione e controllo nazionale e coordinata. Quest’ultima legge attende però ancora l’approvazione di diversi decreti attuativi da parte del MITE; è un’urgenza non più rinviabile.
Nel 2014 è stata relatrice del decreto “Sblocca Italia” e alla Camera della legge per il contenimento del consumo di suolo, al fine di istituire anche in Italia una legge che freni il consumo sconsiderato di suolo a fini edificatori. A oggi quale è la situazione in merito a distanza di alcuni anni?
L’Italia purtroppo è tra i paesi con il maggiore consumo di suolo a livello comunitario. Secondo il recente Rapporto ISPRA, nel 2020 sono stati persi 57km² di suolo, una tendenza che è paradossalmente ancora in crescita nonostante il basso aumento demografico. Non va altresì dimenticato che la tutela del suolo è un valore costituzionale e che il consumo di suolo è in primis correlato con il peggioramento dei fenomeni di dissesto idrogeologico. Fenomeno che all’Italia costa ogni anno vite umane e svariate centinaia di milioni di euro all’anno. Nella scorsa Legislatura riuscimmo ad approvare in prima lettura alla Camera il disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo, di cui sono stata relatrice, senza tuttavia arrivare all’approvazione definitiva al Senato. In questa Legislatura la legge sul consumo di suolo è ancora arenata in Commissione Agricoltura e Ambiente al Senato, mentre è più avanzato il lavoro su un altro disegno di legge molto importante, quello sulla rigenerazione urbana. Mi auguro che in questo ultimo scorcio di legislatura il Governo e le forze di maggioranza in Parlamento assumano una forte iniziativa su questi temi, approvando finalmente norme che tutelano con efficacia una risorsa non rinnovabile come il suolo, fondamentale nella lotta alla crisi climatica.
Nel dicembre 2015 ha fatto parte della delegazione del Parlamento Italiano alla COP21 in cui si è sottoscritto il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, adottato alla conferenza di Parigi sul clima. Possiamo dire che quello rappresenta un forte punto di partenza per una nuova sostenibilità?
Ho orgogliosamente rappresentato, con altri colleghi delle Commissioni competenti, il Parlamento italiano alla 21esima Conferenza della Parti sul Clima delle Nazioni Unite: un summit che segnò un punto di svolta fondamentale planetario nella lotta al cambiamento climatico. L‘Italia, assieme agli altri partner dell’Unione Europea, fu peraltro parte attiva per il buon esito dei negoziati di Parigi e pochi mesi dopo firmò solennemente al Palazzo di Vetro di New York il testo dell’accordo. Dal 2015 a oggi sono giunte nuove sfide in campo ambientale, industriale e sociale ci attendono - pensiamo al Next Generation EU con il correlato PNRR o agli obiettivi del Green Deal Europeo, e il nostro Paese non permettersi di non cogliere l’occasione di essere tra i primi - specie con la “tempesta del COVID19” - ad abbracciare tutte le opportunità date dalla transizione ecologica guardando sempre alla tenuta sociale, accompagnando in questa rivoluzione verde le nostre imprese e i cittadini, specie quelli più fragili. Innovazione, sostenibilità, coesione producono una spinta formidabile per far crescere l’Italia in una maniera più giusta e più solidale. Siamo proprio alla vigilia della COP26 che segnerà un passaggio decisivo a livello globale nella lotta ai cambiamenti climatici. Ai tanti ragazzi che manifestano nelle piazze di tutto il pianeta e che in queste settimane sono stati protagonisti a Milano dell’appuntamento Youth4Climate dobbiamo delle risposte concrete e all’altezza della sfida.
Le ultime leggi di Bilancio sono più attente ai temi legati allo sviluppo sostenibile, coerentemente con le nuove linee programmatiche definite a livello europeo, che adottano l’Agenda 2030 come cornice generale delle politiche Ue. Un passo in avanti rispetto alle nuove direttive, ma il lavoro resta tanto.
Il lavoro da fare resta davvero molto. Penso, ad esempio alla revisione del PNIEC, ma anche al maxi piano comunitario "Fit For 55", che indica gli strumenti per la rivoluzione verde, ovvero ridurre del 55% le emissioni di Co2 entro il 2030, con l'obiettivo finale di azzerarle nel 2050. È una sfida enorme, che coinvolge le istituzioni ma anche la società intera, il settore industriale, agricolo, della mobilità. Aggiungo poi che un terreno sul quale agire sono proprio le grandi aree metropolitane. Le Nazioni Unite stimano infatti che oltre il 55% della popolazione mondiale vive in cosiddetti "insediamenti urbani", una cifra che si prevede aumenterà fino al 60% di una popolazione totale più ampia entro il 2030. Ciò pone le città al centro dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU e cuore della transizione ecologica. Agire sulle città porta a cambiamento epocali in termini tecnologici, produttivi ma anche nella vita quotidiana delle comunità. Per questo, come dicevo prima, si tratta anche di una battaglia politica e culturale.
Proprio la Legge di Bilancio del 2020 è intervenuta sui temi ambientali, sulla decarbonizzazione e sull'economia circolare, lanciando il Green New Deal italiano ma secondo l’Avis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) occorre fare di più in termini di impegni economici. Tra gli obiettivi sui quali si lavora da tempo, aumentare notevolmente la quota di energie rinnovabili nel mix energetico globale, per incentivare l’uso dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili dall’utilizzo residenziale a quello connesso alla mobilità. Il PNNR può essere lo strumento che permette l’avvio di un percorso concreto?
Sì, certamente e abbiamo lavorato con il presente e il precedente Governo per questo. Potrà funzionare solo se tutto il Paese si mette in movimento. Il PNNR traccia la strada per i prossimi cinque anni. Un tempo sufficiente per far partire questa rivoluzione verde ma non sufficiente per riattivare l’Italia dopo una crisi sanitaria globale e per condurre a pieno regime la transizione ecologica dei molteplici ambiti della nostra società. Saranno necessari grandi sforzi per arrivare al 2030 agli obiettivi di produzione di energia rinnovabile, che devono vedere aumentare di 10 volte la capacità annua attualmente installata. Nel PNRR ci sono misure e risorse importanti per la transizione ecologica e la rivoluzione verde: 60 miliardi destinati specificatamente a questa Missione. Ora la sfida è rimuovere molti ostacoli che ancora frenano lo sviluppo delle rinnovabili, dal punto di vista autorizzatorio, degli incentivi dello sviluppo delle comunità energetiche (il recepimento della Direttiva REDII è uno snodo fondamentale). Il territorio sarà protagonista di questo cambiamento, per questo va coinvolto e responsabilizzato.
Alcuni provvedimenti riguardanti il settore trasporti hanno un’incidenza riconoscibile sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, come già accadde nella Legge del 2019 con gli incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici e ibridi. La cosiddetta Green Mobility, prevede che, dal primo di gennaio 2020, le pubbliche amministrazioni, in occasione di rinnovo degli autoveicoli in dotazione, devono acquistare o noleggiare il 50% di veicoli elettrici. Abbiamo già dei riscontri su come sia stata raccolta questa opportunità?
Non sono in possesso di dati puntuali sull’incremento del mezzo elettrico nella Pubblica Amministrazione. E non so se esistano. Ho però registrato nel Paese, sia nelle grandi città che nei centri medi, un incremento del mezzo elettrico messo a disposizione non solo della Pubblica Amministrazione, penso alla polizia locale, ai servizi sociali, ai mezzi adibiti alla raccolta dei rifiuti, ma anche alla mobilità sostenibile a servizio della collettività: a Milano dal 2030 ci saranno solo autobus elettrici sulle strade di Milano ma anche in altre realtà - cito la Lombardia perché è la mia regione ma vi sono esempi virtuosi in tutta Italia - il progetto promosso peraltro dal Politenico di Milano, denominato Green Line, coinvolge nella mobilità verde 4 comuni della Val Seriana, per un totale di 66mila abitanti. Questo per ribadire che la Pubblica Amministrazione deve assumere un ruolo importante in questo ambito, anche per dare il buon esempio ai cittadini.
Lei coordina l’Intergruppo Parlamentare per lo Sviluppo sostenibile, luogo di discussione particolarmente qualificato sulle discussioni rispetto i temi legati alla sostenibilità. Quali sono le prossime iniziative sulle quali andrete a lavorare?
In questi anni abbiamo lavorato per contribuire, nell’informalità e grazie alla partecipazione volontaria dei colleghi interessati, ai lavori della Camera dei Deputati. Un esempio nato proprio dal lavoro dell’Intergruppo per lo Sviluppo Sostenibile è stata la trasformazione del CIPE in CIPESS un cambiamento non di poco conto, che segna il passaggio verso una programmazione economica sempre più orientata alla transizione ecologica e alla sostenibilità. Oggi la sfida maggiore che abbiamo è portare in fondo in questa legislatura l’inserimento della tutela dell’ambiente e degli ecosistemi nell’articolo 9 della Costituzione.