“Infrastrutture e logistica sono uno strumento importante per il fine della sostenibilità, sempre però che si voglia seriamente imboccare la via della mobilità “verde”
Intervista a Stefano Zamagni, Professore Ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e Presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali

Dal Pnrr avremo grandi fondi a disposizione per la ricostruzione post – covid. Secondo Lei in quali modi l’economia civile può promuovere lo sviluppo sostenibile? Per loro propria vocazione, i soggetti dell’economia sociale sono, di certo, quelli maggiormente impegnati sul fronte dello sviluppo sostenibile. Il problema, purtroppo, è un altro ed è che nel nostro paese questi soggetti, assai numerosi e altamente motivati soffrono di nanismo e di basse competenze manageriali. L’esito è che, non raggiungendo la soglia critica, il loro impulso alla causa dello sviluppo sostenibile è ancora modesto.
Il Governo ha allocato una parte ingente del Recovery Fund alle infrastrutture e alla logistica. La mobilità può rappresentare un driver importante per la sostenibilità? E’ certo che infrastrutture e logistica sono uno strumento importante per il fine della sostenibilità, sempre però che si voglia seriamente imboccare la via della mobilità “verde”. Si pone qui il problema di scegliere il tipo di idrogeno da impiegare, se quello “blue” o quello “verde”.
Economia e sviluppo sostenibile. I due termini sono antitetici o siamo davanti a un cambio di paradigma? Se col termine economia ci si vuol riferire alla crescita economica è ovvio che quest’ultima non sia compatibile con la sostenibilità. Non così, invece, se ci si riferisce allo sviluppo umano che non può essere sostenibile. Il punto è che la crescita non è attributo esclusivo degli uomini, perché anche animali e piante crescono. Lo sviluppo è proprietà esclusiva del genere umano e significa, letteralmente, “liberarsi dai viluppi”, da tutto ciò che inibisce l’esercizio della libertà. Ama lo sviluppo chi ama la libertà e viceversa. Tutti gli equivoci nascono dal fatto che si continua a far credere che sviluppo e crescita siano, basicamente, la medesima cosa. Il che non è, perché lo sviluppo umano comprende tre dimensioni: quella della crescita, quella socio-relazionale, quella spirituale. Dimensioni che stanno tra loro in relazione moltiplicativa, non additiva.
Qual è l’ostacolo maggiore che potrebbe frenare il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità fissati dalle istituzioni europee? Può bastare semplicemente una governance efficace? L’ostacolo maggiore è di tipo culturale. Si continua a pensare, e quindi a credere, che la sostenibilità faccia diminuire la profittabilità o che determini un abbassamento dei livelli occupazionali o cose del genere. Il fatto è che la scienza economica non ha mai sviluppato, salvo in rarissimi casi, una teoria della traversa. E questo alimenta una pletora di fake-truths che disinformano e creano pericolosi conflitti.
Sostenibilità sembra essere un termine ormai inflazionato. In Italia ne abbiamo realmente compreso il significato? Il termine sostenibilità è stato coniato nel 1794 dallo scienziato tedesco H. von Carlowitz. Poi per quasi 170 anni, di questo termine si perdono le tracce, fino al 1970 quando il Club di Roma di A. Peccei lo rilancia con grande stupore di tanti. Invero, c’erano state eccezioni prima di allora; la più rilevante fu quella di N. Georgescu-Roegen, la cui voce non solo non venne ascoltata, ma pure derisa. Scuola e Università sono alquanto carenti su tale fronte: basta leggere i programmi di insegnamento. Ma sono certo che le cose cambieranno nel prossimo futuro