“La mobilità sostenibile è legata indissolubilmente alle infrastrutture energetiche e digitali”
Intervista a Mara Tanelli, Professor of Automatic Control DEIB - Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

In quale modo le infrastrutture possono favorire l’avanzamento della mobilità sostenibile?
Sicuramente infrastrutture e mobilità sono legati a doppio filo: non è un caso, infatti, che il Ministro Giovannini abbia voluto ulteriormente sottolinearlo cambiando il nome del ministero stesso. Il nuovo nome, Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, del resto, non solo mette in risalto questa interconnessione, ma mostra come la sostenibilità stessa debba necessariamente essere condivisa sia dalle infrastrutture sia dalla mobilità che grazie ad esse è resa possibile. E ancora: il legame con la mobilità non è solo forte per le infrastrutture di trasporto, che sono le prime che associamo alla mobilità, ma sempre più – in particolar modo in ottica di sostenibilità – occorre un approccio complessivo e sistemico alle infrastrutture. Perché la mobilità sostenibile è legata indissolubilmente alle infrastrutture energetiche e digitali. Il nostro rapporto da’ una visione molto ampia di queste tematiche, sia considerando nelle analisi tutti i diversi tipi di infrastruttura di cui il MIMS si occupa, sia sottolineando in modo molto deciso le interconnessioni, dipendenze e sinergie che esistono e che vanno comprese e sviluppate in modo coerente e consapevole per poter raggiungere i target di sostenibilità e decarbonizzazione previsti dalle nuove normative europee a cui l’Italia aderisce e anche per poter rendere sia le infrastrutture sia la mobilità resilienti ai cambiamenti climatici. E’ importante anche notare che non solo per la mobilità, ma più in generale per una crescita sostenibile a fronte dei cambiamenti climatici in corso, occorre lavorare sia sul rafforzamento della capacità di adattamento delle infrastrutture e dei sistemi di mobilità esistenti, sia sull’adeguamento o la realizzazione di infrastrutture e sistemi di mobilità in grado di contribuire efficacemente alla riduzione delle emissioni di gas serra (mitigazione). I due aspetti sono funzionali l’uno all’altra, e devono essere portati avanti entrambi: l’adattamento può essere iniziato subito, perché le tecnologie necessarie sono disponibili e le azioni da fare sull’esistente, portando già sulla strada degli obiettivi di più lungo periodo sui quali deve agire la strategia di mitigazione. E’ quindi sicuramente un bene che si discuta di mitigazione, ma non bisogna dimenticare l’adattamento come forma di azione immediata, potenzialmente molto efficace e capace di ridurre consistentemente i danni anche economici che i cambiamenti climatici possono avere sulle infrastrutture.
Secondo Lei una mobilità green riuscirebbe a ridurre disuguaglianze sociali e territoriali?
Il tema degli impatti sociali della mobilità sostenibile è estremamente rilevante, e mi è particolarmente caro in quanto io stessa mi occupo nella mia ricerca dello sviluppo di sistemi di mobilità inclusiva. Nel rapporto, discutiamo questo tema estesamente nel capitolo 2, dove evidenziamo come, nelle dinamiche relative al posizionamento del nostro Paese nelle catene globali del valore, diventano sempre più rilevanti elementi di cambiamento interno che incidono sulla domanda di accessibilità (alla mobilità in particolare, ma non solo) e sui suoi impatti socio-economici.
In particolare, dunque, la definizione di una strategia per la mobilità sostenibile dovrebbe tenere conto di tre direttrici fondamentali:
(i) le dinamiche tecnologiche, con particolare riferimento all’applicazione delle tecnologie digitali e ai loro impatti sull’organizzazione sociale, delle attività lavorative e produttive e al conseguente impatto territoriale;
(ii) le dinamiche demografiche relative all’invecchiamento della popolazione, all’aumento della popolazione inattiva e all’incremento del lavoro a distanza accelerato dalla pandemia;
(iii) l’evoluzione delle tendenze agglomerative, insediative e di organizzazione delle città e dei centri produttivi (la popolazione che vivrà nei centri urbani rispetto alla popolazione totale crescerà dal 54% di oggi al 68% nel 2050). E’ chiaro che le dinamiche tecnologiche possono favorire la resilienza del Paese e contribuire al processo di riduzione delle emissioni di gas-serra, e dovrebbero sempre essere accompagnate da politiche volte ad allineare le opportunità economiche con la minimizzazione dell’impatto ambientale. Il digitale, ad esempio, può contribuire a ridurre in modo diretto e indiretto uno quota importante delle emissioni complessive. Le tendenze demografiche e agglomerative correnti, invece, rendono il nostro Paese più vulnerabile e aumentano quindi le dimensioni e il valore dei danni da cambiamenti climatici attesi nei prossimi decenni, rendendo più rilevante e urgente una strategia concreta di adattamento, resilienza e mitigazione.
Proprio alla luce della rilevanza delle implicazioni sociali di tali strategie, uno degli obiettivi chiave del Rapporto è proporre di utilizzare investimenti, incentivi, standard e norme per guidare il Paese verso uno sviluppo più competitivo e meno diseguale, affrontando allo stesso tempo, grazie alle risorse messe in campo, le sfide del cambiamento climatico e quelle della globalizzazione e della trasformazione (digitale, demografica, ecc.) dell’economia italiana.
Il Rapporto, infatti, mette bene in risalto come il disegno e la realizzazione della strategia delineata devono essere portati avanti riconoscendo che la progettazione e la gestione delle infrastrutture sono temi di natura complessivamente socio-tecnica, e che gli impatti che hanno in termini di riduzione delle disuguaglianze e di giustizia sociale possono generare molteplici dividendi (in aggiunta a quelli ambientali ed economici). Una strategia per le infrastrutture e la mobilità sostenibili dovrà quindi essere incentrata sui bisogni sociali ed economici dei cittadini, come peraltro anche sottolineato nel PNRR, in cui si fa esplicito riferimento alle interconnessioni tra mobilità e disuguaglianze, di genere, territoriali e di età. Pertanto il Rapporto sottolinea come gli interventi programmati dovranno tenere in considerazione il dualismo regionale che caratterizza il Paese, valutando attentamente non solo i risvolti e gli impatti che le scelte infrastrutturali hanno sulle disparità regionali, ma al tempo stesso monitorando in modo attivo anche gli aspetti di disuguaglianza e polarizzazione intra-regionale.
Ritiene gli obiettivi dell’Agenda 2030 raggiungibili dal nostro Paese?
Secondo l’Agenda ONU 2030 e gli obiettivi di G7 e G20, un sistema infrastrutturale sostenibile dovrebbe rispettare le caratteristiche individuali, migliorare la vita delle comunità sia in termini economici sia sociali e valorizzare i paesaggi interessati. Sebbene il Sustainable Development Goal (SDG) più direttamente legato alle infrastrutture sia l’SDG 9, per quanto detto sopra gli impatti vanno ben oltre, e riguardano tematiche di genere (SDG 5), di riduzione delle disuguaglianze (SDG 10), di città sostenibili (SDG 11), di accesso ad acqua e energia pulita (SDG 6 e 7), di produzione e consumo responsabili (SDG 12). Insomma, agendo sulle infrastrutture si generano impatti fortissimi sull’agenda 2030. A livello nazionale lo strumento di coordinamento dell’attuazione dell’Agenda 2030 è rappresentato dalla Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile, che “si configura come lo strumento principale per la creazione di un nuovo modello economico circolare, a basse emissioni di CO2, resiliente ai cambiamenti climatici e agli altri cambiamenti globali causa di crisi locali, come, ad esempio, la perdita di biodiversità, la modificazione dei cicli biogeochimici fondamentali (carbonio, azoto, fosforo) e i cambiamenti nell’utilizzo del suolo”. L’ultimo rapporto dell’organizzazione ASVIS (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile), del 2021, che monitora l’avanzamento della posizione italiana nell’agenda 2030, mostra alcune criticità nella posizione italiana, ma trova nel PNRR una grande opportunità di mettere al centro uno sviluppo in linea con questi obiettivi. Chiaramente la pandemia da un lato e la situazione attuale dall’altro non aiutano, ma sicuramente andare nella direzione di sviluppo indicata dal Rapporto per quel che riguarda i temi infrastrutturali è anch’esso un passo nella direzione dell’Agenda 2030, così come lo è stato la recente modifica dell’articolo 9 della Carta Costituzionale che ha menzionato esplicitamente la salvaguardia dell’ambiente. Non a caso, il rapporto ASVIS auspicava, tra le azioni a supporto dello sviluppo dell’agenda 2030, sia una modifica costituzionale, sia un lavoro di aggiornamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, che ha ovviamente forti punti di contatto con le tematiche affrontate nel nostro Rapporto.
La crisi energetica può impattare in modo negativo nello sviluppo della mobilità green?
La crisi energetica, esacerbata ancor di più dai recenti eventi della guerra in Ucraina, sicuramente ha creato uno shock fortissimo su tutti i fronti, in particolar modo quello energetico. Pur nella drammaticità del momento, tuttavia, potrebbe fornire una motivazione ancora più forte ad accelerare lungo la strada intrapresa dal Green Deal europeo, che, se portata a termine come previsto, deve arrivare a net-zero nel 2050. Raggiungere questo obiettivo, partendo oggi in modo convinto lungo la direzione di accrescere in modo forte la produzione di energia rinnovabile, va anche nella direzione di rendere l’Europa energeticamente indipendente, e quindi supporta anche l’obiettivo di superare la crisi energetica. C’e’ ovviamente oggi un ampio dibattito, e anche posizioni che vorrebbero ritardare e ripensare i tempi e i modi della transizione ecologica, ma speriamo davvero che invece si prosegua per la strada intrapresa, comprendendo che è la leva corretta anche per risolvere la crisi energetica.
Occorre pero’ prestare attenzione anche al fatto che la filiera delle auto elettriche, che è al cuore della mobilità green, ha bisogno non solo di rinnovabili per rendere l’energia elettrica sostenibile, ma anche dei materiali necessari per le batterie (litio e altri metalli): la crisi energetica è legata a doppio filo anche all’accesso alle cosiddette terre rare, e occorre una strategia integrata che possa finanziare, anche con il sostegno dell’Unione Europea, anche la gestione dell’accesso a questi materiali. E’ di ieri l’annuncio dell’addio ai motori termici da parte di tantissime case automobilistiche sull’orizzonte, al più, del 2035. Anche Stellantis, che è il produttore più legato al nostro Paese, ha annunciato che nel 2030 venderanno in Europa il 100% di auto elettriche, all’interno del piano “Dare Forward 2030” appena presentato. E’ quindi fondamentale anche supportare l’adattamento della filiera automotive italiana verso questa transizione, con nuove competenze, nuovi investimenti e una chiara direzione di marcia per non perdere (troppa) competitività e trovarsi nuovamente a dipendere pesantemente da filiere esterne al nostro Paese, cosa che ci mette a rischio non solo dal punto di vista economico ma anche geopolitico, come rimancano i recenti avvenimenti.
Il Rapporto su Cambiamenti climatici, infrastrutture e mobilità elaborato dalla Commissione di studio, istituita dal Mims a cui lei ha partecipato coordinando il capitolo relativo alle strategie di adattamento e resilienza delle infrastrutture ai cambiamenti climatici, evidenzia come l’impatto diretto del climate change sulle infrastrutture è rilevante. Quali politiche finanziarie adottare per mitigarne gli effetti?
Sicuramente il Rapporto evidenzia come, in base alle proiezioni climatiche discusse nel Capitolo 3, ci si debba attendere un sostanziale aumento in frequenza e intensità di eventi climatici estremi sul territorio italiano nell’orizzonte che va fino al 2050. Sulla base di queste analisi di evoluzione del clima in Italia, si stima in modo prudenziale che l’impatto economico diretto sulle infrastrutture causato da eventi climatici estremi, quali ondate di calore e freddo, siccità, incendi, esondazioni fluviali e costiere e tempeste di vento, sia di circa 2 miliardi all’anno al 2030 e circa 5 miliardi di euro all’anno al 2050 per le sole infrastrutture in Italia nello scenario tendenziale RCP 4.5 (che è lo scenario climatico più probabile ad oggi, coerente con un incremento della temperatura media di poco meno di 3 gradi rispetto ai livelli pre-industriali). Quindi sicuramente un danno significativo, con ripercussioni – come si diceva prima – non solo economiche ma anche sociali e di salute pubblica.
Pur non essendo concentrato sul tema degli strumenti finanziari a supporto degli investimenti infrastrutturali (che è stato oggetto del lavoro della seconda commissione di esperti avviata dal MIMS e guidata dal Prof. Pammolli), il nostro rapporto si conclude con il capitolo 7, che è dedicato a suggerimenti di politiche e incentivi a supporto delle strategie e delle azioni concrete di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici discusse nei capitoli precedenti.
Complessivamente, è importante sviluppare una strategia nazionale e una tempistica degli interventi infrastrutturali e delle politiche incentivanti, fiscali o regolatorie che trovi la migliore coerenza tra il rispetto del processo europeo di decarbonizzazione con il suo obiettivo intermedio al 2030, le risorse finanziarie e tecnologiche disponibili, lo sviluppo delle capacità industriali e gestionali, i costi e i benefici presenti e futuri degli interventi, e la protezione delle fasce più deboli della popolazione e delle imprese. Una tale strategia dovrà dare priorità a quegli interventi che offrono già oggi la migliore prospettiva di abbattimento delle emissioni e al tempo stesso comportano un elevato miglioramento dell’efficienza energetica del sistema, e quindi una minore – e più facilmente raggiungibile nel breve periodo - necessità aggiuntiva di energie rinnovabili, comunque indispensabile in tempi brevi.
A tal fine il Rapporto suggerisce di considerare come pilastri di un’azione di policy per la decarbonizzazione di trasporti e mobilità: (i) la gestione della domanda di viaggi, cercando di ridurre le distanze di viaggio, di spostare le scelte verso modalità efficienti dal punto di vista energetico, low-carbon e zero-carbon e di Massimizzare l'utilizzo della capacità dei veicoli; (ii) la disincentivazione all’utilizzo di mezzi inquinanti e (iii) lo sviluppo di veicoli a basse emissioni funzionanti con fonti rinnovabili, favorendo la transizione verso veicoli a basse emissioni alimentati con energia decarbonizzata.
Queste misure vanno inserite all’interno di quanto previsto dalla EU Climate Law e dal pacchetto Fit for 55 (in corso di negoziazione), che tra l’altro prevedono la creazione di un mercato ETS parallelo per i combustibili per gli edifici e i mezzi di trasporto, e l’estensione del meccanismo ETS a aviazione e trasporto marittimo, garantendo che le risorse generate dalla vendita dei permessi di emissione siano effettivamente destinate a misure di adattamento, mitigazione e ricerca e sviluppo, oltre che a sostenere una transizione “giusta” dal punto di vista della riduzione delle disuguaglianze.
In questo contesto, nella definizione delle misure di incentivazione da adottare va cercato un giusto compromesso tra politiche di sussidio o detassazione e politiche fiscali (tasse o permessi) in modo da mantenere il più possibile in equilibrio il vincolo di bilancio pubblico. Alcuni esempi delle misure per la decarbonizzazione di trasporti e mobilità proposte sono: (a)La differenziazione delle tariffe dei servizi gestiti (aeroporti, autostrade, ferrovie) sulla base delle emissioni dei veicoli e recupero fiscale sulla stessa base; (ii) il rafforzamento del Green Public Procurement perché vengano utilizzati criteri premianti o sbarranti nelle gare pubbliche (codice degli appalti) e private; (ii) gli incentivi per il trasporto pubblico urbano vs. privato come mobilità nelle città e penalità per l’utilizzo dell’auto (stile ecopass o road pricing).