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Briciole di pane

“La tendenza globale a uno stile di vita più attento ai consumi potrà condizionare il futuro”

Intervista a Marco Carlone, autore del libro “Binario est”, video reporter e fotografo freelance, attivo soprattutto sui temi dell’ambiente, piccole comunità, conflitti

Nel suo libro “Binario est”, pubblicato per Bottega errante, affronta il tema delle infrastrutture ferroviarie e dei mezzi di trasporto dell’Europa dell’est. È un racconto di viaggio assolutamente affascinante, affrontato anche da un punto di vista storico e sociale, che ci ricorda l’annoso problema della necessità migliorare infrastrutture ormai superate, inquinanti e poco sostenibili. Secondo lei come si può superare e migliorare questo gap?

Purtroppo non esiste un’unica risposta per tutti i territori di cui si parla nel libro. Il problema principale che molte delle imprese ferroviarie menzionate nel libro si trovano ad affrontare è senza dubbio la mancanza di fondi per rinnovare il parco rotabili e l’infrastruttura. Ma se in alcuni casi – come in Romania e Bulgaria – un processo di evoluzione è in corso anche grazie ai finanziamenti europei, in altri paesi come Albania, Macedonia del Nord o Moldavia tutto procede a rilento. Penso che questo gap verrà migliorato, dunque, soltanto quando le amministrazioni ferroviarie avranno abbastanza fondi da poter rinnovare il proprio parco rotabili e l’infrastruttura (e quando li useranno davvero per questo scopo).

I treni storici e le antiche ferrovie però sono anche sinonimo di bellezza, mistero, viaggio, scoperta, specialmente quando sfrecciano attraverso paesaggi meravigliosi e naturalistici. Come si possono incontrare la tradizione e la cultura del passato con le nuove tecnologie?

In realtà alcune volte si incontrano. Come dicevo, i fondi europei che stanno permettendo il rifacimento dell’infrastruttura sulle rotte di traffico principali in Romania vedono situazioni in cui vecchi convogli dell’anteguerra corrono come possono su rotaie nuove da 200 km/h di velocità consentita e sotto una catenaria appena installata. A volte il passaggio e il mescolamento tra il vecchio e il nuovo avviene in maniera più grottesca. In Macedonia del Nord qualche anno fa sono stati acquistati dei nuovissimi treni bimodali dalla Cina, per consentire dei servizi sia su rete elettrificata che diesel. Sono mezzi che avrebbero un’elevata velocità, ma per lo stato dei binari sono costretti in alcuni tratti a velocità che non superano i 30 km/h. Le persone, invece, che prendono i treni tutti i giorni per lavoro o necessità apprezzano i nuovi treni, non avendo la visione romantica e un po’ nostalgica del viaggiatore che, arrivando dall’Italia come me, prende quei treni per un paio di volte e poi torna agli standard dell’Europa occidentale.

La valorizzazione turistica del territorio passa anche attraverso antiche strade, vecchi mezzi di trasporto, ma è necessaria prima di tutto per valorizzare il territorio circostante e può essere un volano economico se rispetta il territorio. Come?

Non sono un esperto pianificatore di politica dei trasporti, ma se mi si chiedesse un’opinione riguardo a come il treno e la ferrovia possa essere un valore aggiunto per il territorio che attraversa, direi senza dubbio che un servizio turistico dovrebbe essere affiancato a un buon servizio quotidiano e regolare per le persone che abitano intorno ai binari. In molti di quei paesi il treno è un mezzo che si prende per necessità, ed è ancora la soluzione migliore o più economica per spostarsi. Alcune ferrovie stanno scoprendo il turismo, ma per avere quella funzione per cui le ferrovie vennero costruite è importante mantenere il servizio regolare anche per quelli che il treno lo prendono quotidianamente.

Spesso i treni dei Paesi che ha visitato vanno ancora a carbone, cosa si sta facendo per superare questo problema e quali sono gli obiettivi sostenibili delle realtà che racconta?

In molti casi si sta facendo poco o nulla. Come scrivevo sopra, man mano che arrivano nuovi fondi si utilizzano per rinnovare rotabili e infrastrutture, ma spesso la situazione economica di alcune ferrovie rasenta la sopravvivenza. In Bosnia, per esempio, si utilizzano ancora delle locomotive a vapore per manovrare treni merci di carbone perché il carburante per delle locomotive diesel più performanti costa sicuramente di più del carbone -estratto nelle stesse miniere- utilizzato come combustibile per le vecchie locomotive a vapore.

Quanto è importante che la sostenibilità concreta del nostro modo di vivere e costruire nuove infrastrutture passi anche dalle necessità concrete dei suoi cittadini. Secondo lei i dibattiti pubblici sono utili?

In alcuni casi lo sono stati. In Ucraina una piccola ferrovia a scartamento ridotto è tornata a circolare dopo un anno e mezzo di chiusura proprio perché la popolazione locale si è adoperata per reinserire il servizio dopo che era stato cancellato. E si trattava di un’area a bassissima densità abitativa, dove il servizio ferroviario era economicamente in perdita. Anche in un altro caso in Bulgaria una coppia di giovani ha modellato di propria mano una tabella oraria nuova per scongiurare una chiusura, e non solo il servizio non è stato eliminato, ma ha portato nuovi turisti. In altri casi, invece, le proteste locali non hanno portato a niente. Ma già solo il fatto che in alcuni casi abbiano avuto un riscontro positivo, potrebbe essere uno stimolo per eventuali azioni future di questo tipo.

Storicamente, come lei stesso scrive, molte città sono nate intorno alla ferrovia e alle principali vie di comunicazione, ma nel frattempo il tessuto sociale è cambiato e certe infrastrutture sono cadute in disuso. Come si può lavorare a una politica del riuso?

In molti casi già lo si fa. In Romania, Bulgaria, Albania, Moldavia per esempio si utilizzano quotidianamente rotabili provenienti da paesi come Germania, Danimarca, Regno Unito, Italia, Francia… si tratta di rotabili che in quei paesi erano pronti per la demolizione. Le ristrette risorse economiche delle ferrovie d’oltrecortina le hanno un po’ salvate dalla demolizione e questi mezzi hanno ricominciato a circolare, sebbene avessero sul groppone migliaia di km di esercizio. Si tratta chiaramente di un istinto di necessità, ma dal punto di vista pratico ha consentito il mantenimento di migliaia di corse.

Il cambiamento climatico è un’emergenza globale, lo racconta nei suoi reportage in giro per l’Europa, costringe le persone a lasciare le proprie case, i propri Paesi d’origine. Come si può invertire la tendenza e quanto può aiutare costruire e soprattutto ri-costruire infrastrutture in modo sostenibile che non creino impatti dannosi al territorio?

Valutando la bilancia delle emissioni globali temo che l’impatto reale delle emissioni provocate dalla ferrovia abbiano un peso ridotto, ma ciò non vuol dire che non bisogni inseguire la direzione di un efficientamento dell’infrastruttura. In molti casi per esempio le elettrificazioni procedono a un ritmo spedito. Penso che però più di una pianificazione veramente volta alla riduzione degli impatti ambientali sul territorio, sia la tendenza globale a uno stile di vita più attento ai consumi che potrà condizionare il futuro. In alcuni casi sarà probabilmente del mero green washing, in altri no, però già solo il fatto che le ferrovie austriache OBB abbiano recentemente reintrodotto decine di nuovi treni notturni per fare da competitor all’inquinante traffico aereo dice molto su quanto probabilmente l’attenzione all’ambiente delle persone condizionerà il futuro (anche perché nella loro comunicazione hanno proprio posto l’accento sull’aspetto “green” di queste scelte di trasporto).

Secondo lei la sfida al 2050 a zero emissioni che si è posta l’Europa sarà realizzata e come si immagina quella data in prospettiva?

Devo chiedere scusa se non mi sento di rispondere a questa domanda, ma non ho proprio sufficienti argomentazioni e informazioni per dare una risposta ragionata (che sia quindi poco più che una speranza personale). Ciò che posso supporre è che i paesi tenteranno – anche qui per accogliere il sentimento comune, perché riceveranno risorse economiche per farlo, e solo in alcuni casi per un vero spirito ambientalista – di abbassare le loro emissioni di carbonio. Se ci riusciranno… lo vedremo tra trent’anni.

( Foto - credit per gentile concessione Daniela Sestito e ufficio stampa Bottega errante)