“Ogni intervento è generativo di ricadute economiche, finanziarie, ambientali e sociali e saperle leggere attraverso metriche quantitative diventa la sfida del prossimo decennio”
Intervista a Gabriele Masci, assegnista di ricerca all’Università di Roma “Tor Vergata” - Facoltà di Economia e Responsabile di Open Impact per il settore Infrastrutture

Come nasce Open Impact?
Open Impact è una start-up innovativa, spin-off della ricerca dell’Università di Roma “Tor Vergata”, costituita il 20 maggio 2019. La start-up recepisce la volontà di un gruppo di ricercatori universitari e di manager d’impresa di operare in modo innovativo e focalizzato sul tema dell’impatto, oggi divenuto di urgenza notevole e di importanza crescente.
Il progetto è progressivamente cresciuto grazie alla vittoria in due round di investimenti, il secondo con la misura Smart & Start di Invitalia. Questo fattore, accanto a positivi test di mercato ha portato oggi la società a lavorare con successo con clienti di importanza nazionale su cluster di mercato molto diversi tra di loro (For Profit, Terzo Settore, Pubblica Amministrazione, Cooperazione internazionale, Finance).
Attualmente la società si avvale di 14 tra collaboratori fissi e non, ed è organizzata in Business Unit (BU) per meglio recepire le diverse esigenze dei mercati.
A chi si rivolge e quali sono i suoi obiettivi?
Come già anticipato nel punto precedente, Open Impact si rivolge a diversi domini del mercato, e cerca di fornire risposte coerenti rispetto alle esigenze di imprese diverse per dimensione, storia, dominio di impresa.
Gli obiettivi di Open Impact sono dichiarati sin dalla mission e vision della società:
- Mission: “Creare un ecosistema aperto di conoscenze e competenze sull’impatto sociale, in grado di abilitare i decisori a compiere scelte sempre più̀ consapevoli”
- Vision: “Favorire il riconoscimento e la remunerazione del valore non considerato dalle metriche finanziarie tradizionali”.
Possiamo dire che l’idea imprenditoriale alla base del progetto è la digitalizzazione dei servizi legati alla sostenibilità e all’impatto (economico, sociale e ambientale) attraverso la costruzione di una piattaforma digitale (www.openimpact.it). Il raggiungimento degli obiettivi aziendali è perseguito attraverso l’offerta di una serie di servizi digitali (Design Your Impact, Show Your Impact, Bilancio Sociale) a sostegno delle differenti fasi del ciclo dell’impatto. Servizi che, laddove necessario, vengono declinati per intercettare le esigenze di specifici segmenti di mercato. I servizi digitali sono intermediati dalla consulenza offerta dallo staff di Open Impact, cosa che crea una offerta di valore ibrida e flessibile di buon successo in contesti anche molto diversi tra di loro.
Open Impact fa dell’Impact Benchmark - database di dati validati a livello internazionale sull’impatto sociale - la propria forza ed unicità, almeno a livello del nostro Paese.
Grazie ad esso è possibile attivare vere e proprie analisi predittive in merito al valore generato dall’attività presa in considerazione. In quest’ottica la piattaforma si presenta come un “simulatore esperto” che permette di orientare, nel nome dell’impatto, il design di progetti, programmi e vere e proprie politiche.
Open impact è indirizzato alle pubbliche amministrazioni, a enti terzi, imprese impact-oriented, fondi di investimento etc. Quanto è importante e come si orienta il cambiamento all’interno di questi settori?
Il concetto di impatto sociale, come anche ambientale, aldilà delle declinazioni ad oggi consolidate nei diversi mercati, poggia su alcuni fondamenti comuni che devono essere rispettati. Di conseguenza, le declinazioni possibili all’interno di ciascun mercato rispondono sempre a logiche comuni quali il superamento del concetto di output come metrica di base, il concetto di intenzionalità e la distinzione fra outcome e impatto per la misurazione del ritorno sociale. Inoltre, tramite l’adozione di un approccio orientato al ciclo dell’impatto sociale è possibile cogliere le diverse necessità e i diversi obiettivi dei mercati a cui si fa riferimento. Se in alcuni casi infatti è necessario concentrarsi sull’allocazione delle risorse e quindi su strumenti predittivi di valutazione dell’impatto sociale e ambientale, in molti altri casi il contributo di Open Impact riguarda la valutazione ex-post di KPI (indicatori di performance) per la sostenibilità.
Può raccontarci un esempio virtuoso?
Uno dei casi più interessanti riguarda sicuramente la sperimentazione condotta con Autostrade su alcuni interventi infrastrutturali di grande portata, quali la Gronda di Genova e il Passante di Bologna. Queste esperienze ci hanno permesso di studiare e definire dei modelli valutativi ad hoc per le grandi opere sia in ottica ambientale che, e direi soprattutto, sociale. L’aver definito indicatori e metriche per la quantificazione degli effetti di medio-lungo periodo della maggior parte delle fasi di un progetto, dal cantiere alla manutenzione per intenderci, è l’obiettivo a cui aspiriamo in ogni mercato in cui operiamo. Lo stesso vale per l’ambito della rigenerazione urbana, in cui lavoriamo per la definizione di un modello di analisi condiviso da pubblico e privato per interventi di grande portata.
Nella vision del progetto si legge: “favorire il riconoscimento e la remunerazione del valore non considerato dalle metriche finanziarie tradizionali”. Quali sono le metriche tradizionali e come si può superarle?
Potremmo dire che la metrica più tradizionale è il profitto o in generale la metrica orientata all’output. Ma aldilà di questo, l’obiettivo è rendersi conto della complessità del mondo in cui operiamo. Ogni intervento è generativo di ricadute economiche, finanziarie, ambientali e sociali e saperle leggere attraverso metriche quantitative diventa la sfida del prossimo decennio. Se le prime due sono ormai uno standard in termini di misurazione, è importante concentrarsi sulle ricadute ambientali e sociali che ad oggi sono frutto di metodologie non coerenti tra loro e spesso autoreferenziali. Inoltre, entro il 2026 le DNF (Dichiarazione non finanziaria) di carattere ambientale e sociale diventeranno d’obbligo anche per le piccole e medie imprese. Il superamento non può che passare dagli sforzi della Commissione Europea e di tutto il mondo accademico, per l’ottenimento di analisi via via più oggettive e comparabili.
Per lei la teoria del cambiamento è una metodologia che ci permette di impostare l'impatto positivo di un qualsiasi ente. Può dirci qualcosa di più?
La teoria del cambiamento è sicuramente il modello di base di ciascuna valutazione d’impatto sociale. Senza entrare nel tecnico, si tratta di uno strumento utile per la definizione e messa a sistema delle logiche causali scaturite da un determinato intervento. Questo strumento permette dunque di definire, almeno a livello concettuale, i collegamenti che intercorrono tra attività, output di un progetto e cambiamenti di medio-lungo periodo. Ovviamente, è possibile mappare sia gli impatti positivi che negativi, ma soprattutto permette di ragionare insieme agli stakeholder di un progetto in un’ottica di co-design. Come dicevo, questa metodologia è alla base di ogni valutazione d’impatto sociale, fornendo le fondamenta per il monitoraggio degli indicatori di progetto.
L’impatto sociale è fondamentale per fare scelte sostenibili ed è quindi necessario che il cambiamento parta dalla mentalità delle singole persone. In che modo si lavora su questo impatto e qual è il vostro metodo?
È importante riflettere sul fatto che ogni organizzazione genera effetti di cambiamento positivo o negativo nel medio-lungo termine in grado di incidere sul benessere delle persone, della comunità e della società più in generale. Tutti, dunque, sono o dovrebbero essere interessati a ciò che avviene, ma spesso questo avviene con livelli di urgenza e rilevanza abbastanza differenti. In questo senso, è opportuno lavorare sul tradurre le narrazioni in ambito ambientale e sociale ormai consolidate in strumenti per la misurazione e dunque per la raccolta di dati e/o informazioni rilevanti per lo Stato e per le imprese.
Lei è anche ricercatrice universitaria: come si sta orientando l’università nell’ambito della sostenibilità?
Il crescente interesse verso i temi della sostenibilità e dell’innovazione sociale apre nuove opportunità per declinare il grande potenziale dell’innovazione tecnologica a favore di obiettivi di impatto sociale ed ambientale. In questo senso, la stessa creazione di Open Impact è una proxy per la sostenibilità o se volete per l’attenzione di una parte dell’accademia per i temi della sostenibilità ambientale e sociale. Open Impact nasce infatti da un progetto di ricerca portato avanti dal Dipartimento di Management e Diritto dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. In generale, le università si sono fatte promotrici di importanti ricerche e sperimentazioni che hanno condotto alla crescente attenzione sui temi ambientali e sociali. Mentre in campo ambientale è possibile dire che ci sono informazioni molto consistenti, quasi del tutto standardizzate, in ambito sociale si è ancora in una fase di analisi e sperimentazione.