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Briciole di pane

I bitumi italiani affidabili e versatili

Costruzioni Stradali

ANTEFATTO

I bitumi italiani, data la nostra storica e cronica mancanza di fonti continuative e dirette di petrolio, derivano dai più diversi greggi disponibili al momento che quindi hanno attitudini diverse a fornire bitumi che, come è noto, sono la fase finale della estrazione dei prodotti da questo materiale naturale così meraviglioso, mutevole e prezioso che io chiamo “distillato di dinosauro” pensando alla sua lontanissima origine organogena. Purtroppo sia la variabilità legata alle cause ricordate che la tendenza dei petrolieri a ricavare la massima quantità possibile di prodotti “nobili” (e costosi) hanno sempre portato a considerare poco più di uno scarto il prodotto “bitume “ che per noi stradini è invece molto prezioso ed importante. Questo dato di fatto non viene mai dichiarato apertamente, ma ha sempre provocato una scarsa affidabilità nella durata dei conglomerati bituminosi fatti con bitume tal quale, che spesso viene spiegata (non sempre a ragione) con difetti e carenze nella preparazione e nella messa in opera dei conglomerati bituminosi. Nelle mie esperienze autostradali dove ho lavorato per anni le imprese esecutrici erano interne al gruppo e curavano sempre con attenzione questi aspetti, per ovvi motivi, quindi posso affermare che spesso le carenze in deformabilità visco - plastica e in durata a fatica delle miscele erano legate più alla natura del bitume che alle carenze ricordate. Un’altra prova nei miei ricordi risale agli anni ’80, quando il problema delle ormaie viscoplastiche aveva trasformato la corsia di marcia delle autostrade in un percorso a solchi analogo alle strade della Pompei romana; il tutto era dovuto alla carenza in asfalteni dei bitumi all’epoca disponibili: l’aggiunta di asfalteni alle miscele in un primo tempo e l’uso successivo di bitumi più duri e più “selezionati” fecero superare ottimamente il problema delle ormaie. Altro tipo di provvedimenti per migliorare il comportamento dei leganti (ma solo per scopi particolari come le impermeabilizzazioni dei ponti) era il ricorso ad additivazioni con bitumi naturali di caratteristiche reologiche elevate come il Trinidad epuré o il Selenitza, sua versione quasi autoctona (veniva dall’Albania, più vicina dell’America del Sud da cui proviene il Trinidad ) Qualcosa di simile è avvenuto contemporaneamente negli anni 80 per i cementi che venivano prodotti come materiali con caratteristiche non sempre eccellenti e che per poter essere usati in applicazioni ad alta performance hanno dovuto ricorrere agli additivi, che oggi ci permettono controlli del ritiro, aumento delle resistenze e della durabilità il tutto dopo la produzione primaria, oggi più attenta anche al prodotto di base. Questa attenzione al prodotto “normale” è ancora oggi carente nel campo dei bitumi nel settore di raffinazione primaria (vedi il recente convegno SITEB del 18 febbraio 2010 dal titolo “Quale futuro per il bitume” ) e ad esso si è rimediato nel modo più efficace ricorrendo appunto alle modifiche a posteriori del prodotto bitume tal quale da raffineria

LA NASCITA DEI PRIMI BITUMI MODIFICATI

A metà degli anni 80 i miglioramenti del tipo descritto apportati ai bitumi primari non erano più sufficienti a sopperire alle richieste di resistenza che derivavano dall’uso di miscele di conglomerati innovativi, che erano divenuti necessari per le pavimentazioni autostradali e per le strade ad alto traffico pesante. Si trattava di trovare leganti bituminosi adatti: • ad aumentare la durata a fatica delle miscele di base; • a rendere più indeformabili le miscele da usare sui ponti e sugli strati superficiali delle pavimentazioni ad alta durata; • a permettere l’impiego di frazioni di materiale fresato nelle miscele tradizionali; • a permettere l’uso di trattamenti irruvidenti di basso spessore come i macroseal • a rendere durevoli sotto il traffico pesante le nuove miscele drenanti- fonoassorbenti ad alto contenuto di vuoti, che si stavano studiando ed applicando per le prime volte. Per tutti questi scopi non era consigliabile l’uso di bitumi normali, occorrevano prodotti modificati in modo da ottimizzare di volta in volta il legante per la funzione specifica. Nacque (ma durò poco) il CO.BI.MOD. cioè il COnsorzio dei BItumi MODificati , un pool di imprese del settore che assicurava forniture di leganti trattati ad hoc (vedi figura 1). Il concetto ispiratore era quello del Bitume con la “Griffe” e, parafrasando il mondo della moda, si proponeva un prodotto di qualità analogo a quello che usciva degli atelier di Valentino, dove materiali semplici divenivano abiti meravigliosi. Il consorzio non ebbe successo commerciale perché era troppo avanti per i tempi, ma aveva definito molti dei metodi oggi in uso ed aveva aperto una via:. era nata una filosofia dei materiali che ha portato alle modifiche mirate come mostrato sinteticamente nella figura 1; il prodotto finale assicurava una qualità elevata e costante con la presenza dei requisiti tecnici necessari a fornire prestazioni specifiche per i diversi scopi. Erano state selezionate due categorie di prodotto”bitume modificato”(vedi figura 2): • Quelle a modifica meno potente denominate “Soft”, di costo contenuto, tese a migliorare l’adesione bel bitume agli inerti, a ridurre la deformabilità ai carichi lenti ed anche ad un certo miglioramento della durata a fatica non sempre presente. • Quelle a modifica forte denominate “Hard”, più costose, per prestazioni elevatissime sempre di adesione, ma con spiccati aumenti di durata alla fatica e di elasticità estesa ad una più vasta gamma di temperature. Questa terminologia, inventata all’epoca, è tra l’altro ancora in uso. Naturalmente le possibilità di modifica erano numerose, a fronte della molteplicità degli agenti utilizzabili, riportati in modo esemplificativo in figura 3. I BITUMI MODIFICATI MODERNI Dopo il consorzio ognuno ha perseguito nel migliore ( per lui ) dei modi l’uso dei bitumi modificati: Il gruppo “autostrade” ricordato ha operato dapprima in modo massiccio con i modificanti soft al polietilene usando, per le miscele, mulini colloidali mobili nei 18 impianti del gruppo con un prodotto anti ormaia denominato “Novophalt”, ma contemporaneamente sviluppando le miscele con i modificanti “hard” in elastomeri SBS radiali specialmente per gli impieghi connessi alle usure drenanti –fonoassorbenti che si stavano diffondendo sulla rete a pedaggio, allora del Gruppo IRI. Negli anni ’90 l’uso dell’SBS radiale e non lineare insieme con fibre di vetro stabilizzanti fu la chiave del successo di queste miscele aperte, che lavorano solo per incastro , trattenute nel loro mosaico spaziale solo dal legante bituminoso elastico modificato, che le collega per punti e che sopporta l’azione martellante di milioni di assi pesanti. Lo studio del bitume modificato, codificato nei Capitolati “autostrade” dell’epoca, si basava sui viscosimetri rotazionali Dinamic Shear Rehometer D.S.R..(vedi il dettaglio nella Figura 4) in grado di verificare le caratteristiche reologiche del composto; i problemi da risolvere erano molteplici proprio a fronte della variabilità dei bitumi di partenza (quelli che venivano chiamati in gergo “base modifica”) e che spesso scontavano i difetti della variabilità del greggio di origine e della variabilità dei mezzi di distillazione, diretta o tramite visbreaking. Un bitume ricco di aromatici ed asfalteni era più adatto alla modifica con elastomeri lineari e veniva modificato “soft”; un bitume povero di asfalteni e ricco di malteni era più adatto alla modifica con elastomeri radiali e diveniva un “hard”; il tutto era verificato con sofisticate apparecchiature quali gli Iatroscan in grado di valutare la composizione del bitume di partenza prima della sua modifica. Una buona modifica agisce sul modulo G alzandolo specialmente alle alte temperature di servizio (da 5500 a 10.000 Pa a 50°C ) e migliorando l’elasticità φ (Figura 4 ). Si arrivò anche alla metodologia di dispersione del modificante nella matrice bituminosa con l’aggiunta di zolfo, ed alla verifica del tutto con le visure al microscopio. Si mise a punto addirittura un fuso di accettazione del bitume modificato con il suo modulo complesso G in Pascal ed il suo angolo di fase φ in gradi, al variare della temperatura T. Il prodotto valutato al viscosimetro doveva ricadere nei fusi di modulo complesso G e di angolo di fase φ di figura 5 . Ma non era tutto: dopo la messa a punto della modifica occorreva una sua stabilizzazione nel tempo per evitare le modifiche non intrinseche, con conseguente pericolo di perdita delle caratteristiche nel tempo. Per questo fine occorreva aggiungere fibre di origine vetrosa – vedi figura 6 -dentro il legante, spesso erroneamente sostituite in toto con fibre di cellulosa, che stabilizzano solo per tempi brevi il legante caldo, ma sono meno efficaci nel lungo periodo. Nell’immagine riportata si vedono le fibre, preconfezionate in blocchetti contenenti vetro e cellulosa, disperse nella matrice bituminosa, tipiche di alcune applicazioni per usure drenanti. Per verificare la validità di queste aggiunte, di tutta la procedura e dei materiali di modifica, era stata messa a punto la prova finale globale di verifica di resistenza alla trazione indiretta che un conglomerato bituminoso drenante standard di riferimento: con il legante in valutazione si dovevano ottenere risultati di resistenza alla trazione indiretta RT e coefficiente di trazione indiretta CTI “brasiliana” non inferiore a certi valori prefissati (vedi figura 7). Solo un legante ben modificato con l’elastomero disperso con lo zolfo e stabilizzato con le fibre avrebbe prodotto nella miscela di riferimento con vuoti superiori al 20% confezionata con la pressa giratoria, le resistenze a trazione richieste dal Capitolato e scelte perché nella versione standard usata quelle resistenze avevano assicurato una vita utile certa e durevole sulle corsie tormentate delle autostrade italiane. Quindi la sequenza degli studi di progetto e di controllo brevemente ricordata in queste note era l’iter che precedeva ed accompagnava l’uso dei bitumi modificati della generazione pioniera degli anni ’90: se tutto era stato fatto al meglio, nel cantiere bastavano pochi esami sui materiali in arrivo per essere certi del risultato ottenibile. Ed il metodo non solo ha funzionato, ma ha permesso la selezione dei materiali di modifica che ancora oggi viene usata nella produzione di questo tipo di leganti.

SITUAZIONE ODIERNA

Oggi il settore è ormai maturo ed i bitumi modificati sono disponibili come si pensava all’epoca del CO. BI. MOD. A volte qualche prodotto promette, ma non mantiene, o è qualcosa di diverso, come nel caso dei conglomerati “modificati” con aggiunta di plastomeri, che spesso vengono gabellati per conglomerati ottenuti con bitume modificato: ambedue sono prodotti di validità maggiore dei conglomerati normali, ma sono due prodotti diversi. La sequenza dei controlli è comunque sempre effettuabile nel modo descritto come dimostrano i nuovi Capitolati ANAS del 2009 dove i criteri di controllo ricordati sono tuttora applicati. Ormai le modifiche più potenti per i drenanti sono divenute di routine, mentre avanzano quelle per gli strati profondi di base, dove la modifica aumenta notevolmente la durata a fatica ed è ormai indispensabile anche a fronte dell’uso sempre più diffuso e massiccio dei materiali riciclati. Queste verifiche di progetto delle miscele sono inoltre oggi rese molto più agevoli dalla nuova macchina di rilevamento della durata a fatica per comparazione delle diverse miscele , messa punto per usi di cantiere sempre dai laboratori di Cesano ANAS. Questa macchina permette di verificare con semplicità la validità delle modifiche e delle miscele conseguenti sulla fatica, caratteristica globale e non indiretta, che definisce le effettive qualità operative dei conglomerati bituminosi per pavimentazioni stradali. Unico settore dove le modifiche non sono a mio parere necessarie è quello dei materiali legati con bitumi schiumati e cemento: in queste lavorazioni il bitume da usare non ha bisogno di modifica perché la schiuma di bitume opera meglio se ricavata da prodotti “morbidi” naturali; il modificante o riduce la schiumabilità o non apporta sensibili vantaggi all’azione di collegamento degli inerti.

Gabriele Camomilla - Terotecnologo

  Figura 1

  Figura 2

  Figura 3

  Figura 4

  Figura 5

  Figura 6

  Figura 7