Il senso etico delle driverless car
Si amplia il dibattito "filosofico" sull'utilizzo dei veicoli a guida autonoma

Gli algoritmi pongono non poche questioni etiche, per quanto riguarda le driverless car. Ne avevamo già parlato in un precedente articolo, ma ritornare sull’argomento è intellettualmente stuzzicante. Il tema, d’altronde, apre fronti di dibattito stimolanti tra i favorevoli e i contrari all’intelligenza artificiale. Non è una discussione relegata ai soli “addetti ai lavori”, si badi bene, perché coinvolge, direttamente e indirettamente, tutti noi. In caso di un possibile incidente, la domanda è sempre questa, la nostra raziocinante automobile come si comporterà? Quali scelte farà? Chi deciderà di salvare e chi sacrificherà? Si tratta di decisioni prese in un millisecondo. Il veicolo lo fa per conto nostro. Dall’una o dall’altra opzione della Smart car ne discenderanno (eventuali) responsabilità civili e penali.
Un team di ricercatori della Ghent University (Belgio) ha utilizzato duecento volontari per arrivare a una qualche conclusione. Sottoposti all’esperimento conosciuto con il nome di “The Trolley Problem”, o “problema del carrello ferroviario (formulato, nel 1967, da Philippa Ruth Foot: si tratta di una sperimentazione mentale di filosofia etica), gli è stato comunicato che sarebbe stato inflitto un potente elettroshock a un gruppo di topi e che avrebbero potuto salvarli schiacciando un pulsante. La scossa, in questa maniera, sarebbe stata deviata su una gabbia dove ne era presente uno solo. Il 66% dei volontari, in prima battuta, ha optato per questa alternativa. La percentuale è salita all’84%, all’atto dell’esperimento vero e proprio. Nella realtà (lo precisiamo), nessun ratto ha subito scariche elettriche. Quando si è sotto pressione, insomma, le valutazioni decisionali degli umani sono influenzate da molteplici fattori. Problematico, dunque, codificarle e rappresentarle in un algoritmo.