Trasporti: Self driving car per la mobilità del futuro
In fase di sperimentazione alcuni prototipi, tra questi la "Google car"

Roma, 6 ottobre 2015 - Sembra diventato tutto “Smart”. Abbiamo le “Smart city”, le “Smart car”, la “Smart mobility” e altro ancora. L’intelligenza più o meno “artificiale” spunta ovunque nella nostra quotidianità. Ci circonda. E’ diventata familiare. La diamo per scontata. La “realtà digitale” e quella “vera” camminano a braccetto, ormai. La prima sembra in grado di condizionare in maniera determinante lo sviluppo socio-economico e, per quanto ci interessa, la mobilità.
Sistemi alquanto evoluti lasciano intendere che l’uomo potrà sgravarsi da costrizioni e fatiche. Siamo nel campo dell’immaginario? Chissà. Il futuro è sempre più presente. Basta solo pensare, piccolo e significativo inciso, che, attualmente, ci sono circa 6 miliardi di dispositivi connessi a Internet. Si stima che saranno 25 miliardi nel 2020.
Per tornare a noi, uno studio elaborato dalla società di consulenza Capgemini ("The selfie experience: The envolving behaviour of the connected customer") evidenzia come la metà dei consumatori cambierebbe la propria vettura con quelle progettate dai colossi americani Apple e Google. Sebbene soddisfatti della propria auto, sarebbero pronti a comprare la nuova macchina da uno dei due giganti dell'hi-tech. C’è, soprattutto, una maggiore attenzione a quanto di tecnologico è presente nei veicoli. Un 80% degli intervistati (7.500 persone) li reputa fondamentali. E non ci sono particolari problemi se i gestori dei servizi utilizzano i dati personali, considerato che il 99% del campione esaminato si ritiene soddisfatto dell’utilizzo che ne è fatto. Siamo, insomma, più disponibili alle innovazioni pure se, rispetto a esse, dobbiamo sacrificare scampoli di privacy.
Intanto, la sperimentazione di prototipi, tipo la “Google car” (nella foto), prosegue. Computer di bordo, una caterva di software e sensori sono già in grado di guidarla. La vettura adeguerà la sua velocità alle condizioni meteo e del traffico. Gli occupanti del mezzo dovranno solo indicare il luogo di destinazione: si preme il pulsante di avvio e quello di arresto e il gioco è fatto.
La “Google car” ha già macinato parecchi chilometri. Circa 1,6 milioni, tutti percorsi all’interno del circuito privato aziendale. Quanto prima la vedremo sfrecciare sulle roads californiane. Magari, a essere sinceri, scrivere "sfrecciare" è un po’ troppo, visto che non supera la velocità max di 40 kmh.
Insomma, le macchine come gli aerei: si inserisce il pilota automatico e ci si libera di ogni incombenza. Certo, noi la stiamo facendo semplice mentre, come sappiamo, il progetto delle “Smart car” è ancora in fase di sviluppo e deve superare vari intoppi. Ad esempio, essendo elettriche, quello dell’autonomia della batteria.
Le “vetture intelligenti” dovrebbero contribuire, almeno in linea teorica, a fare diminuire il numero degli incidenti e, quindi, dei morti e dei feriti. Le auto dialogherebbero tra di loro, valuterebbero autonomamente eventuali situazioni viarie “a rischio”, ottimizzerebbero il consumo, ridurrebbero l’inquinamento atmosferico, renderebbero il traffico più fluido, individuerebbero percorsi alternativi. Mica poco, premesso che per il Dipartimento dei Trasporti degli Usa oltre l’80% dei sinistri è causato dall’errata condotta di guida del conducente.
Delegare compiti e responsabilità di guida ad un software è la cosa più giusta? Questa domanda se la pongono in molti, a prescindere da una serie di questioni legate alla loro circolazione (per dirne una, al fatto che gli hacker potrebbero farne oggetto di interessate attenzioni).
Comunque, nell’attesa che i prototipi raggiungano un livello di affidabilità tale da rendere queste vetture “appetibili” per il mercato, dobbiamo rassegnarci a fare in modo che gli umani alla guida siano più “Smart”. Continueremo ad avere ancora, quindi, sulle nostre arterie degli “human drivers”, li chiamiamo così per dare un tocco d’inglese all’attuale modalità di circolazione. Confidando che, una volta al volante, non abbiano bisogno di chissà quali dispositivi per capire che le infrastrutture viarie non sono un circuito dove fare sfoggio di potenza e altro. Ma arterie al servizio della collettività e del progresso.