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Briciole di pane

Atlantia-Gemina-Adr: 5.000 km e 41 milioni di passeggeri

Tre buoni motivi perché la maxi-fusione possa segnare una svolta anche per il sistema Italia

Milano, 1° aprile 2013 – Si è definita in tempi rapidi la fusione carta per carta di Atlantia e Gemina- AdR, e le assemblee che ancora si devono tenere nel momento in cui scriviamo non riserveranno sorprese, vista la composizione degli azionariati. Alcuni hanno storto il naso, alla nascita di un maxi polo autostradale-aeroportuale italiano, potenzialmente da oltre 10 miliardi di valore in Borsa, e con 2,7 di ebitda sulla carta. Ma chi storce il naso - nel mondo politico come in quello accademico e nei media - ha pressoché invariabilmente una caratteristica particolare. Appartiene quasi sempre al fronte della decrescita felice, uno schieramento ormai multipartito dal punto di vista politico, e che con il 25% dei voti popolari ottenuti alle ultime consultazioni dal Movimento 5 Stelle ha compiuto un grande balzo in avanti, rispetto alle componenti di sinistra e di destra sociale che in precedenza ne rappresentavano in Italia le due eterogenee ma già iperattive constituency.
Noi qui su CH, al contrario, dacché siamo nati ripetiamo ogni mese che il consolidamento di più grandi gruppi italiani in tutto il settore delle reti infrastrutturali è una condizione imprescindibile per affrontare meglio la sfida del rilancio dello sviluppo e della ripresa della crescita: una sfida che non passa solo all'interno dei nostri disastrati confini nazionali, e che si vince piuttosto solo e meglio quanto più le attività diversificate sono presenti e proiettate anche al di là dei confini nazionali.
Rappresenta dunque non una buona, ma un'ottima decisione, la somma di 5mila km di autostrade a pedaggio controllate da Atlantia attraverso Autostrade per l'Italia, e dei 41 milioni di passeggeri del polo aeroportuale romano gestito da AdR, fresca di rinnovo fino al 2044 della concessione, dopo aver atteso invano per 12 anni l'adeguamento delle tariffe. Un'ottima decisione per almeno quattro ragioni.
In primis perché sin dall'inizio, con i 2000 km di autostrade in Sudamerica, la concentrazione equilibra l'eccesso di esposizione delle attività complessive all'andamento del Pil italiano - Autostrade ha registrato un meno 7,5% di circolazione e fatturato per effetto della recessione nel 2012, Fiumicino e Ciampino sono passati dai 42,4 milioni di passeggeri del 2011 ai 41,6 del 2012.
Secondo e soprattutto, perché la generazione di cash flow e l'esposizione debitoria della somma dei due gruppi consente di riservare somme interessanti alla ricerca oltrefrontiera di estensione delle attività attuali, cominciando dalle gare previste a breve per le concessioni aeroportuali di Santiago del Cile, Rio de Janeiro e Belo Horizonte, cominciando da Cile e Brasile dove già Autostrade è presente. Bisogna inoltre confidare che Changi, il partner industriale che era nel patto Gemina e che gestisce lo scalo di Singapore, resti stabilmente nel nuovo gruppo, accrescendo, come sembra e come hanno più volte dichiarato i vertici di Atlantia nei loro contatti, il quasi 2% che verrebbe a detenerne convertendo i suoi titoli. Terzo, perché la fusione aggiunge forza finanziaria a quella già assicurata dal rinnovo concessionario e tariffario ad AdR perché si compia davvero in tempi brevi, il troppo a lungo rinviato ammodernamento di Fiumicino Sud e la realizzazione della nuova aerostazione di Fiumicino Nord.
Infine, a dirla tutta, la fusione (che tecnicamente è acquisizione in Atlantia) abbatte il rischio d'impresa che AdR concentrava inevitabilmente a fronte di sviluppi problematici e/o traumatici in Alitalia. Cosa non del tutto peregrina anzi purtroppo più che attuale, visto che recentemente la compagnia aerea, dopo aver perso ancora 200 milioni nel 2012, ha sostituito a distanza di qualche mese dalla nomina l'ad Andrea Ragnetti, e la cassa a cominciare dal pagamento degli stipendi è stata salvaguardata solo con un prestito-soci di 120 milioni, alla cui delibera si sono sottratti azionisti - della cordata originaria di venti, formata nel 2008 - pari a oltre un quarto del capitale complessivo. Il prestito è in forma di convertibile-convertendo con scadenza al 2015, e non è un mistero che cardine dei dissensi nell'attuale eterogenea compagine di controllo è rappresentato da identità, valore e sviluppi che alla compagnia verrebbero dal player internazionale a cui dovesse finirne il controllo, se Air France attualmente alle prese con seri problemi di ristrutturazione (e che ha sostenuto potentemente col suo 25% del capitale le decisioni di Immsi-Colaninno, Intesa SanPaolo, Riva e Atlantia) oppure una compagnia dell'area Golfo-Emirati.
Il nocciolo delle obiezioni che si sono lette alla concentrazione dipende da due fattori. Il primo è quello delle parti correlate, perennemente presente nell'asfittico capitalismo di relazione modello-Italia. Ergo la presenza appunto di Sintonia-Benetton in Alitalia a fianco del controllo di Atlantia, di come gli interessi del gruppo siano collegati anche al possesso delle aree su cui avverrà lo sviluppo di Fiumicino, della loro presenza in Mediobanca che di Gemina è stata storicamente padrina. L'argomento ha la sua persistente validità nella nostra scalcinata Italia. Ma è pur vero che proprio per questo Atlantia e Gemina, pur non essendovi obbligate dalle attuali norme italiane, hanno però comunque proceduto alla fusione nel rispetto di tutti gli obblighi previsti per le operazioni tra parti correlate. Sintonia, col suo 45,6% del capitale totale dell'aggregazione, insieme al 5,1% della quota CRT sarà agevolmente sopra la soglia del 50%.
La seconda obiezione è invece, appunto, quella dei "decrescenti felici". Hanno messo lancia in resta quando Giovanni Castellucci, l'ad di Atlantia, ha sinceramente ammesso che il ritmo di 1,5 miliardi di euro di investimento all'anno potrebbe ragionevolmente decrescere. E che ciò avverrà però non per difficoltà dell'azienda, ma perché i 4-5 miliardi di euro previsti per la realizzazione delle terze corsie oggi politica e ambientalisti li mettono seriamente in forse, citando tra l'altro il sostenuto decremento di traffico in questa dura crisi come la prospettiva strutturale da mantenere per i prossimi anni. E in più sono sotto spada di Damocle altre opere come la Gronda di Genova, la cui necessità da decenni si scontra con i nuovi no dei Latouche all'italiana.
Ma perché consentire ad Atlantia di usare risorse per incorporare Gemina allora, e non abbassare le tariffe visto che gli investimenti non servono più? Atlantia cresce ed estende il suo perimetro grazie a "extraprofitti"! È questo, il succo dell'obiezione. Un succo molto amaro. Finché in Italia si continuerà a considerare le politiche di remunerazioni concessionarie come strumenti che la politica discrezionalmente può mutare a volontà di semestre in semestre - e figuriamoci, abbiamo cambiato più volte i contratti attraverso decreto legge, negli ultimi anni! - vuol dire che restiamo lontani anni luce da una cultura regolatoria capace di attirare capitali italiani e stranieri per portare sviluppo ed efficienza nelle infrastrutture, impresa e occupazione più solida in Italia. Se Fiumicino nell'ultimo decennio è rimasta molto indietro nell'attrattività comparata rispetto ai grandi hub europei, la ragione principe è stata proprio il coltello brandito per anni dal potere pubblico sulla remunerazione al gestore per passeggero.
Tanto siamo contrari a una politica che oggi ancor più di ieri sembra pronta a rafforzare le ragioni ostili all'impresa e all'infrastrutturazione, che al contrario ci auguriamo che Atlantia-Gemina possa fungere da stimolo ad altre aggregazioni nel settore. A cominciare dal gruppo Gavio e F2i nelle concessionarie autostradali, se i tortonesi - come tutto lascia sembrare mentre scriviamo- accetteranno l'opa Salini in Impregilo, uscendone e facendo cassa rispetto al loro valore di carico del titolo e al netto degli impegni bancari relativi.

Oscar F. Giannino (Capo Horn)