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Briciole di pane

Buzzetti: ora un piano d'urto per le infrastrutture per far partire la vera ripresa

L'intervista a Paolo Buzzetti, Presidente Ance, realizzata da Il Giornale – Dossier Lombardia

Milano, 1° Settembre 2013 – Un'industria da salvare e da riportare in fretta fuori dalle secche della recessione. Il mattone italiano chiama e i primi interventi di soccorso da parte del Governo, già inseriti nel cosiddetto "decreto del fare", cominciano ad arrivare. Segnali confortanti nel lungo cammino della ripresa ma che il presidente di Ance, Paolo Buzzetti, considera solo il preludio a una terapia d'urto invocata a chiare lettere anche nel corso dell'Assemblea nazionale dei costruttori tenutasi lo scorso luglio. «Serve un grande piano di investimenti pubblici da 70 miliardi in 5 anni. Una manovra importante e coraggiosa, capace di sostenere la crescita dell'economia e far aumentare in modo significativo l'occupazione».
Il piano choc da lei invocato tocca anche il capitolo delle opere pubbliche. Quali misure dovrebbe contenere nel dettaglio?
«Il punto fondamentale è invertire quanto abbiamo fatto in questi anni: eccessivo rigore e troppe risorse bruciate per la spesa corrente. Tutto ciò a discapito degli investimenti pubblici maggiormente virtuosi, come quelli in infrastrutture. Abbiamo studiato gli effetti di questo piano con l'aiuto del professor Baldassarri. L'ipotesi è di recuperare progressivamente, nel corso dei prossimi 5 anni, il valore degli investimenti in infrastrutture realizzato nel 2004. In estrema sintesi riusciremmo nel 2018 a ottenere una maggiore crescita del Pil del 3 per cento, 423.000 nuovi posti di lavoro, un rapporto deficit/Pil ben al di sotto del 3% e la riduzione del rapporto debito/Pil».
Oltre al decreto del fare, ha ottenuto il via libera la stabilizzazione degli eco bonus dal 2014. Che impulso possono dare questi provvedimenti?
«Il decreto del fare mostra attenzione nei confronti del nostro settore e comprende alcune norme positive sul fronte del mercato privato. D'altro canto ci auguriamo, come vanno assicurandoci in questi giorni i rappresentanti delle forze politiche, che venga ritirato completamente il Durt, che aggiunge ulteriori oneri burocratici e rischia di bloccare i pagamenti alle imprese, senza aumentare l'efficacia dei controlli. Molto positive sono invece l'introduzione degli eco bonus e la relativa stabilizzazione, come avviene già in molti paesi europei, e l'estensione degli incentivi anche alla riqualificazione antisismica, perché ormai il 70% del nostro patrimonio edilizio inizia a essere vecchio e va assolutamente adeguato. Confidiamo quindi che, come annunciato in Parlamento, si arrivi entro il 2014 a una sistematizzazione di questi strumenti, utili a promuovere la riqualificazione energetica e la messa in sicurezza degli edifici».
Nel corso dell'Assemblea annuale dell'Ance ha dipinto un quadro del settore delle costruzioni molto critico. Dove si registrano le maggiori sofferenze?
«La crisi non ha fatto sconti: sono in grandissima sofferenza sia il mercato privato che i lavori pubblici. Sul fronte casa si è avuto in pochi anni un vero e proprio crollo dell'acquisto di nuove abitazioni: i rubinetti del credito si sono prosciugati e l'Imu ha aggravato pesantemente il blocco delle compravendite. Anche nei lavori pubblici abbiamo assistito a un calo impressionante: dall'inizio della crisi abbiamo perso oltre il 50 per cento degli investimenti. Siamo l'unica nazione che, in questa fase così difficile, anziché immettere risorse nel settore, utilizzandolo come volano anticiclico, le ha sottratte. Il patto di stabilità interno ha fatto il resto, bloccando tutte le opere di manutenzione e messa in sicurezza del territorio da parte degli enti locali».
In che modo ha pesato il fattore Imu su questa dinamica involutiva?
«L'Imu è stata la vera patrimoniale sulla casa. Ha avuto innanzitutto un effetto psicologico devastante e ha comportato un aumento indiscriminato del prelievo patrimoniale. Con l'Imu gli italiani si sono ritrovati a pagare più del doppio di tasse sugli immobili rispetto all'Ici: abbiamo raggiunto la Gran Bretagna in cima alla classifica dei paesi in cui la casa è maggiormente tassata. Per non parlare poi dell'Imu sull'invenduto. Non esiste altro settore industriale in cui viene tassato il bene destinato alla vendita. Su questo punto, proprio nel corso della nostra ultima Assemblea, abbiamo trovato la piena condivisione da parte del ministro Lupi. Ma per rilanciare il mercato della casa servono anche altre azioni fondamentali».
Quali le prime mosse da compiere?
«È necessario innanzitutto ridare credito a imprese e famiglie per far sì che la casa non sia più un "sogno proibito". Con questo obiettivo abbiamo studiato assieme all'Abi una proposta di obbligazioni garantite per finanziare i mutui alle famiglie per l'acquisto di abitazioni ad alta efficienza energetica. E poi bisogna far ripartire il grande piano dell'housing sociale e delle case popolari, come fu il Piano Fanfani, che potrebbe creare migliaia di posti di lavoro e soddisfare le esigenze delle fasce più deboli della popolazione».
La flessione del settore edilizio sconta una penuria di liquidità a cui i ritardati pagamenti delle Pa concorrono in misura decisiva. In che proporzioni si riflette questo ammanco di risorse sull'operatività delle imprese?
«Le conseguenze sono pesantissime. Le imprese non pagate dalla pubblica amministrazione si trovano, a loro volta, nell'impossibilità di pagare i fornitori, i dipendenti, le tasse e purtroppo, sempre più spesso, sono costrette a chiudere i battenti. Dall'inizio della crisi sono fallite 11.200 aziende edili e ce ne sono moltissime purtroppo non in condizioni di reggere un altro anno a causa della mancanza di liquidità. Per questo abbiamo chiesto a gran voce che le imprese siano pagate tutte e subito. È una questione di civiltà. Su questo l'Ance si sta battendo con forza da oltre un anno, da quando lanciammo il D-Day per ottenere lo sblocco dei pagamenti a maggio 2012. Una battaglia peraltro sostenuta e riconosciuta dalla Commissione Ue, che ci ha nominati rapporteur a Bruxelles».
Alzare la voce è servito a raccogliere qualche frutto?
«A distanza di un anno, possiamo dire con soddisfazione che, anche grazie alla nostra azione a fianco dell'Anci e degli enti locali, i primi pagamenti finalmente stanno arrivando. Quello che però non c'è ancora è la garanzia che le imprese vengano pagate anche nel 2014. Mancano all'appello, infatti, 12 miliardi per il settore, per i quali non c'è ancora nessuna soluzione in vista. Anzi, con l'arrivo della nuova direttiva europea sui ritardi nei pagamenti, c'è il rischio che le amministrazioni diano la precedenza ai nuovi, più costosi contratti, lasciando indietro i pagamenti arretrati. Sarebbe una nuova e inaccettabile beffa».

Intervista di Giacomo Govoni (Il Giornale – Dossier Lombardia)