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Briciole di pane

Cantiere Libia a caccia di investimenti esteri

Il dopo Gheddafi. Per la ricostruzione serviranno più di 200 miliardi di dollari

Roma, 4 maggio 2012 – Chi vede il bicchiere mezzo pieno è disposto ad attendere, e guarda con fiducia alle grandi prospettive che in futuro si apriranno. Perché la posta in gioco resta altissima: la ricostruzione della Libia si preannuncia un business colossale. Chi, invece, vede il bicchiere mezzo vuoto, indulge sullo stato di confusione in cui versano le autorità del governo di transizione. E lamenta il ritardo accusato dal processo di ricostruzione: doveva essere già iniziato, invece è ancora in uno stato di semi paralisi.
La verità, probabilmente, sta nel mezzo. I costi della ricostruzione - stimati dai 200 ai 480 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni - rappresentano un'opportunità a cui nessuno vuole rinunciare. Per partire e dare un vigoroso impulso al processo di privatizzazione e diversificazione, il Paese dovrà raggiungere una certa stabilità. Oggi, però, le incognite sono ancora molte. A cominciare dal tipo di Governo che uscirà dalle prossime elezioni, previste per il 19 giugno. Dopo 42 anni di regime, i libici voteranno l'Assemblea costituente, che dovrà di redigere la nuova Costituzione, nominare un premier e un Esecutivo ad interim, il quale dovrà poi indire nuove elezioni. A Tripoli regna un clima di incertezza. Il disarmo delle agguerrite milizie, e la loro inclusione nel nuovo esercito, sono di là da venire.
Per ora il Governo libico è concentrato sul risarcimento delle vittime e dei feriti della guerra. Ma una volta subentrato un Governo legittimato dal voto popolare la ricostruzione partirà. E non si tratterà solo di riparare i danni provocati da 10 mesi di guerra civile. Bisognerà dare il via a quei grandi progetti infrastrutturali tante volte promessi da Muammar Gheddafi ma rimasti quasi tutti sulla carta: riammodernare le fatiscenti reti fognarie della capitale, così come quelle elettriche. Costruire autostrade, ferrovie. Ospedali e università. Un Paese da ri-costruire quasi da zero. Che dispone di grandi risorse per pagare: la Libia possiede le prime riserve petrolifere dell'Africa e le quarte di gas. La produzione petrolifera ha già raggiunto 1,5 milioni di barili al giorno (mbg). Entro fine anno - promettono le autorità di Tripoli- si tornerà ai volumi precedenti lo scoppio della rivolta (1,7 mbg). Se non di più. Per un Paese in cui gli idrocarburi contribuiscono al 70% del Pil e al 97% dell'export è una buona notizia. Anche per l'Italia, tradizionale primo partner commerciale e primo acquirente del greggio libico.
Grazie all'intensità dei rapporti economici e culturali tra i due Paesi, le imprese italiane partono in vantaggio. L'attenzione con cui i businessmen libici guardano tuttora al prodotto italiano - sia beni sia servizi - si tocca con mano. A patto che - precisano i manager delle aziende già rientrate - le imprese tornino in Libia a tessere le necessarie relazioni con le controparti. «Tra i settori a più ampio potenziale di crescita - precisano fonti diplomatiche da Tripoli - ci sono le energie rinnovabili, le comunicazioni, i trasporti e l'agroindustria. L'industria energetica, con il suo indotto, e le costruzioni continueranno a rappresentare pilastri fondamentali». Ma vi sono spazi interessanti anche per le Pmi. «Da parte libica - continuano le fonti - è emerso un crescente interesse verso i modelli produttivi e gestionali sviluppati in Italia dalla piccola e media industria. La Libia ha espresso il desiderio di una più intensa collaborazione tra le Pmi dei due Paesi, in particolare attraverso iniziative d'impresa in cui il capitale e la gestione siano condivise».
Il punto dolente è che, finora, le aziende italiane sono state generalmente timide. Una delle iniziative più interessanti è arrivata dall'"Sme Task Force Nord Est per la ricostruzione in Libia" che si è recata in Libia a fine marzo. Una missione che ha tracciato luci e ombre. A cominciare dalle pochissime imprese private libiche oggi funzionanti e realmente affidabili. «Rispetto a Tripoli - precisa il professore Arduino Paniccia, presidente della task force – Bengasi è orientata a far ripartire l'economia non oltre il prossimo autunno. La Cirenaica è una realtà più dinamica dove l'iniziativa privata è più vivace. Un altro dato interessante è il crescente ruolo assunto dalle municipalità - come Bengasi e Misurata - più autonome anche nella decisione dei progetti come lo smaltimento dei rifiuti». I grandi appalti sembrano invece destinati a partire non prima del 2013. «È fondamentale - continua Paniccia - avere una task force organizzata a Tripoli che metta in contatto le imprese italiane con le controparti locali. Oltre all'impiantistica, oggi i settori più interessanti sono quelli dei beni di consumi privati (come abbigliamento e arredamento d'ufficio). Ma se non sarà fatto nulla si rischia di perdere la sfida. A vantaggio di altri Paesi più intraprendenti».

Roberto Bongiorni (Il Sole 24 Ore)