Confindustria, Trevisani: rischia di allargarsi il gap con gli altri Paesi europei
"Non è un problema di soldi: norme troppo complesse e tempi lunghi"
Roma, 20 giugno 2011 - Non è un problema di soldi. «Liquidità in giro per attivare investimenti c'è». È una questione di normative, troppo complesse e che spesso vanno nella direzione sbagliata, di una migliore qualificazione degli attori sulla scena, «pubblici e privati», di regole diverse per poter rendere remunerativo il project financing. «Serve una sterzata», incalza Cesare Trevisani, vicepresidente di Confindustria con la delega alle infrastrutture.
Numeri alla mano sottolinea la distanza che ci separa dagli altri Paesi: fatta 100 la dotazione di infrastrutture fisiche, noi ci fermiamo a 102, contro il 123 della Germania e il 117 della Gran Bretagna. Con il Sud che è ancora più distaccato. Un gap che secondo Trevisani rischia anche di aumentare, se si tiene conto che il governo prevede una riduzione degli investimenti pubblici dal 2,4% del Pil del 2009 all'1,6% del Pil nel 2013, e se si pensa che in Italia passano dai 3 ai 7 anni da quando un'opera viene decisa a quando viene aperto il cantiere.
La Tav Torino- Lione, il valico Milano-Genova: si rischia di perdere i finanziamenti europei e di non utilizzare quelli nazionali. E sono solo due esempi tra tanti: un paese bloccato?
Sul tema delle infrastrutture c'è bisogno di un'ampia condivisione tra il pubblico e il privato, tra livello nazionale e locale. È una necessità impellente, altrimenti gli effetti negativi saranno devastanti.
Come superare il blocco del diritto di veto a livello locale?
Occorre una modifica del titolo V della Costituzione, nel rapporto che riguarda Stato, Regioni ed enti locali. Lo Stato deve avere responsabilità sulle questioni delle reti europee e quelle collegate. Le Regioni egli enti locali devono avere competenza sulle reti di supporto.
Ammesso che si definiscano le regole, i soldi?
Liquidità in giro c'è. Il problema è rendere remunerativo l'investimento dei privati. E fondamentale la certezza delle norme nel tempo. Ed anche la condivisione dei risultati: se sono positivi, vanno condivisi con la parte pubblica, in caso di risultati negativi, la parte pubblica interviene per garantire la remunerabilità dell'opera. Un'altra partita importante, oltre al project financing, sono i project bond: la Ue ha cominciato a discuterne, vedremo cosa sarà deciso.
Il decreto sviluppo interviene su appalti e questioni urbanistiche: va nella direzione giusta?
Sulle questioni urbanistiche sì. Ma ci sono invece molti aspetti che rappresentano una involuzione: viene alzato il limite per le procedure negoziate senza bando di gara; viene messo un limite del 20% alle riserve, una norma che rischia di aumentare il contenzioso. Alcuni emendamenti che stanno maturando in Parlamento sono anche peggiorativi, come la soppressione dell'accordo bonario per contratti affidati a Contraente generale. Bisogna fermarsi e ragionare su misure veramente necessarie e urgenti, andare avanti con scelte più organiche, non estemporanee, di cui non si è valutato attentamente l'impatto sul funzionamento degli appalti e sulle imprese.
Lei ha parlato anche di più qualità, per le amministrazioni e per i privati: fa anche un'autocritica?
Noi sollecitiamo le amministrazioni pubbliche a migliorare la loro capacità progettuale, vogliamo una maggiore efficienza, una riduzione degli enti appaltanti. Chiediamo di ridurre il ruolo troppo discrezionale della Pa, un presupposto fondamentale per aprire il mercato ai privati, sviluppare la concorrenza e la competitività delle imprese. Ma serve, è vero, anche una maggio- re qualificazione delle imprese, una maggiore selezione in base a ciò che sanno realizzare. Più qualità nel pubblico e nel privato sono il presupposto per un mercato che funzioni.
Per le aziende italiane la sfida è la crescita, anche per essere più competitive all'estero: è un processo che sta andando avanti?
Sì, grazie anche al grande sforzo che sta facendo Confindustria. Il progetto reti di impresa è importante per le pmi del settore. Inoltre sono state realizzate, e se ne faranno ancora nei prossimi mesi, missioni mirate per il comparto infrastrutturale nei paesi, come India e Cina, che hanno grandi progetti di opere pubbliche e che hanno bisogno della nostra qualità di realizzazione.
Le grandi che tirano le piccole, in una logica di filiera?
È questo l'approccio. Bisogna lavorare su più fronti: le aggregazioni, il rapporto con l'indotto da parte della figura del general contractor, che va rafforzata sul mercato nella realizzazione di opere qualitativamente complesse, le grandi imprese, i concessionari. Un lavoro di squadra, che abbia l'obiettivo ultimo di rafforzare tutto il sistema imprenditoriale e il paese.