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Briciole di pane

Corte dei Conti: dagli anni '80 ad oggi risorse destinate alle infrastrutture più che dimezzate

Roma, 31 luglio 2011 - Dall'inizio degli anni ottanta le risorse che lo Stato italiano ha dedicato alle infrastrutture sono state piu' che dimezzate, passando dal 3,5% del Pil all'1,6% previsto per il 2014. Per quella data gli investimenti si saranno ridotti del 25% rispetto al 2009 per le amministrazioni pubbliche e quasi del 30% per le amministrazioni locali. A lanciare l'allarme sul taglio delle risorse destinate alle infrastrutture e le possibili ricadute sulla crescita e' la Corte dei conti, che mette in evidenza come, nel confronto con l'Europa, a fare la differenza sia soprattutto il sud: la “zavorra” del paese. Un paese indietro rispetto ai concorrenti non tanto per il taglio degli investimenti, quanto per ''ostacoli e inefficienze'' che lo caratterizzano.

La magistratura contabile, nell'ultimo rendiconto generale dello Stato, evidenzia quindi come il taglio previsto per il settore ''palesa un orientamento contraddittorio con gli impegni programmatici di natura strutturale (ribaditi nel piano nazionale di riforma e nel piano per il sud) volti al rilancio e all'accelerazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche''. Presenta quindi due problemi, di difficile soluzione. Da una parte osserva che senza la riduzione della spesa in conto capitale il taglio della spesa primaria avrebbe delle dimensioni di ''difficile sostenibilita''' (intorno al 7% al 2014). Dall'altro lato, pero', “se la quota degli investimenti pubblici sul prodotto e' sacrificata e indirizzata lungo un percorso di forte contrazione, si allontanano le prospettive di sviluppo economico, di aumento dell'occupazione e di riduzione dei divari regionali”.

Altra riflessione che la Corte dei conti invita a fare riguarda ''l'ampio e crescente divario'' della dotazione infrastrutturale del mezzogiorno rispetto al resto del paese. Un divario che pregiudica la ripresa economica ''in una fase nella quale il recupero di tassi di crescita piu' elevati costituisce l'obiettivo prioritario della politica economica''. Ricordando la graduatoria del World economic forum (nella classifica del sistema infrastrutturale l'Italia occupa il posto numero 73 su 134 paesi), la magistratura contabile evidenzia che la penalizzazione potrebbe derivare ''in buona misura, dalle carenze che si riscontrano al Sud. In buona misura ma non del tutto -precisa la Corte dei conti- poiche', se si guarda alle infrastrutture di trasporto, anche le aree piu' apprezzate del nord appaiono sottodimensionate nel confronto con le regioni piu' avanzate del resto d'Europa''.

E proprio dal confronto con il resto del continente, evidenzia la magistratura contabile, emerge che nel lungo periodo la tendenza al declino delle spese in conto capitale delle amministrazioni pubbliche centrali e locali ''e' un trend che, da decenni, accomuna la generalita' dei paesi occidentali''. ''Gia' dagli anni '70 e' iniziata una grande discesa della spesa per investimenti pubblici in quasi tutti i paesi industrializzati ''anche in ragione dell'avvenuto conseguimento di un livello di stock di capitale adeguato alle economie mature''. Una flessione che negli anni '90 e' risultata ''particolarmente pronunciata'' in tutta Europa, a seguito delle politiche di consolidamento dei conti pubblici in vista della terza fase dell'Uem.

Nell'ultimo decennio, invece, i valori medi dell'area euro segnalano una sostanziale costanza, gli investimenti fissi sono stati pari al 2,5% del pil tanto nel 2000 quanto nel 2010. Alcuni paesi, nella fase di recupero dalla crisi internazionale, osserva la Corte dei conti, hanno scelto di centrare le politiche di rilancio su vasti programmi di potenziamento delle infrastrutture. ''Cio' nella convinzione che gli investimenti pubblici producano, uno stimolo alla crescita sia di breve sia di lungo periodo''. Ma diversi fattori, spiega la magistratura contabile, precludono all'Italia la possibilita' di percorrere la stessa strada. Il paese che agli inizi dello scorso decennio “era sostanzialmente allineato ai valori medi dell'area euro, si colloca attualmente su un livello piu' basso esclusivamente per effetto della drastica flessione degli investimenti pubblici” registrata lo scorso anno.

Una flessione che si accentua nelle proiezioni del Def, nel quale gli investimenti pubblici scenderanno dioltre il 30% rispetto alla media Ue. Considerando inoltre la capacita'''assai inferiore'' di tradurre l'impegno di risorse finanziarie in maggiori dotazioni infrastrutturali, allora lo scenario prospettato dal Def ''suscita allarme''. Se da una parte le risorse destinate dall'Italia al sistema infrastrutturale sono in linea con il resto dell'Europa, dall'altra il paese e' in ritardo rispetto agli altri big. ''Negli ultimi due decenni non sono emersi segnali evidenti di un rapporto causa/effetto tra esiguita' di risorse finanziare pubbliche e ritardo infrastrutturale rispetto agli altri paesi europei''. Il livello di spesa pubblica in conto capitale ''non si discosta significativamente da quello prevalente altrove''. Tuttavia il divario infrastrutturale ''tende ad ampliarsi''. Alla base del ritardo vi sono ''ostacoli e inefficienze che non ritroviamo nelle esperienze degli altri paesi europei'' dovuti a diversi fattori, come l'assenza di una valutazione sistematica dei costi e benefici dei progetti, la frammentarieta' delle fonti di finanziamento, la frequenza di ampi scostamenti tra preventivi e costi di realizzazione, l'inadeguatezza delle procedura di affidamento dei lavori. E anche in materia di costi, gli indicatori segnalano divari significativi tra l'italia e gli altri paesi, ''con oneri di realizzazione che, nel settore delle infrastrutture di trasporto, sono piu' che doppi rispetto alla Spagna''. E all'interno del paese, negli ultimi anni, si e' anche ''allargato l'arco temporale complessivo per l'assegnazione dei lavori'' legati soprattutto a ''fenomeni diffusi di illegalita''.

Passando a esaminare come la spesa sia divisa tra le diverse amministrazioni del paese, la magistratura contabile evidenzia che nel tempo e' notevolmente aumentata l'incidenza sul totale degli investimenti pubblici della spesa che fa capo a regioni ed enti locali. Era pari al 55% all'inizio degli anni '80 ma un decennio dopo era gia' lievitata al 67% e, nell'ultimo decennio, ha superato il 75%. Una analisti degli investimenti pubblici per sottosettori e per tipologia di beni evidenzia che la composizione degli interventi e' rimasta sostanzialmente stabile nell'ultimo decennio: gli investimenti in fabbricati residenziali e non residenziali costituiscono oltre il 40% del totale, le opere stradali poco meno di un quarto del totale e le altre opere del Genio civile (porti, condotte, opere per la difesa del suolo, linee ferroviarie) superano appena il 15% del totale.

Nel complesso gli investimenti destinati a incrementare lo stock di capitale pubblico di natura infrastrutturale rappresentano all'incirca l'80% del totale, il resto e' costituito da spese per attrezzature, macchinari, mobili, mezzi di trasporto, software. Il ruolo delle amministrazioni locali e' preponderante in ogni tipologia di interventi: fanno capo agli enti territoriali l'80% degli investimenti in fabbricati, il 77% delle opere del Genio civile, il 73% delle opere stradali. Nel 2010, secondo le stime, si prevede una ''forte caduta degli investimenti'' in fabbricati, tanto nei conti delle amministrazioni centrali che in quelli delle amministrazioni locali. Significativa e' anche la flessione che, per gli enti locali, riguarda le opere stradali e altre opere del Genio civile, con decrementi, rispetto al 2009 che dovrebbero essere compresi tra il 15% e il 20%. La ''brusca inversione di tendenza, spiega la Corte dei conti, e' dovuta anche alle ''modalita' di attuazione dei provvedimenti di riequilibrio dei conti pubblici messi a punto tra il 2008 e il 2010'' per la correzione dei conti pubblici.

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