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Briciole di pane

Costruzioni, allarme fallimenti

La prima causa del dissesto finanziario è il ritardo dei pagamenti della Pa

Roma, 26 settembre 2011 - Da mesi non vinciamo gare, non facciamo opere, e andiamo avanti con i nostri fondi. Siamo in attesa da marzo 2010 che la Regione Lazio ci liquidi i lavori Questo è un mondo dove per andare avanti e accelerare le cose a volte sei costretto a ricorrere a vie scorrette: il peggior maestro è soprattutto il settore pubblico Vado avanti solo per i miei figli ma se nel 2012 l'aria non cambia chiudiamo i battenti. Come fa un'azienda a sopravvivere a questo tunnel senza fine? Il dissesto finanziario è conseguenza dei ritardi nei pagamenti da parte dei clienti: abbiamo un credito da 2,5 milioni per i lavori sulla Salerno-Reggio Il nostro obiettivo principale in quanto cooperativa è quello di salvare i posti di lavoro. Il gesto di Unicoop dimostra che la solidarietà non è solo a parole Anche la Btp in concordato preventivo, tanto che il Governatore è intervenuto con l'attivazione di garanzie pubbliche fino all'80% fornite gratuitamente.
Le storie delle imprese ch hanno chiuso i battenti o si preparano a farlo raccontano di una crisi senza precedenti nel settore delle costruzioni e dell'edilizia in generale. In queste pagine, dopo l'inchiesta sul lavoro pubblicata sul numero 35 di Edilizia) siamo andati porta a porta a raccogliere le testimonianze, spesso traumatiche, degli imprenditori che travolti dal credit crunch, dai ritardi nei pagamenti e dall'assottigliarsi delle commesse hanno pagato il prezzo più alto, quello della messa in cassa integrazione dei dipendenti e della trasmissione dei libri contabili in tribunale. Le laziali Icv e Soles, ma anche la Geoscam di Teramo, Consorzio Etruria di Montelupo Fiorentino, la sabauda Italcoge sono uno spaccato di un settore che non sa più come far quadrare i conti. E così le piccole, medie e ora anche le grandi aziende iniziano a scricchiolare.
ICV CHIUDE DOPO 40 ANNI «Strozzati dai pagamenti-lumaca»
Ritardi di pagamento da parte degli enti locali, bandi pubblici in caduta libera e terreni di proprietà che non diventano mai edificabili. Così, l'impresa edile Icy Srl — 40 anni sul mercato dell'edilizia capitolina — a meno di miracoli dell'ultim'ora, chiuderà il 2011 con un fatturato pari a zero. «Da mesi non vinciamo gare, non facciamo lavori e andiamo avanti con i nostri fondi — si sfoga il titolare dell'azienda, Vinicio Verticchio — l'ultimo lavoro che abbiamo concluso è stato per il Consiglio regionale del Lazio, a marzo 2010: la Regione ci deve ancora 800mila euro». Ma questo non è l'unico credito che la Icy vanta nei confronti della Regione Lazio. A questi 800mila euro si aggiungono 400mila euro per lavori — non ancora liquidati — di realizzazione di alloggi a canone concordato. E 600mila euro, che la Icv attende dal 2005 per lavori di manutenzione effettuati a partire dal 2002 all'ospedale romano San Giovanni Addolorata. «Da pochi giorni — ha spiegato Verticchio — la Regione ci ha detto che i pagamenti sono bloccati. Non so quando posso sperare di essere liquidato». Intanto, la crisi si fa sentire e nuovi lavori non decollano. «Avevamo un ufficio gare fino a qualche tempo fa: lo abbiamo chiuso, non serviva più a nulla. Gare non ce ne sono». E allora che si fa, per fuggire alla morsa della crisi? «Non ho avuto il coraggio di licenziare i miei 14 dipendenti — prosegue Verticchio — li conosco da anni, non me la sono sentita. Così ne ho messi in cassa integrazione 10, gli altri mi danno una mano a rimettere a posto il magazzino, nell'attesa che possa presentarsi qualche nuovo lavoro». Un'ultima speranza, per la Icv: nel 2000 l'azienda ha acquistato dei terreni a Roma, dove spera di poter costruire. «Sono anni che aspettiamo le concessioni che non arrivano. Speriamo che l'amministrazione comunale acceleri le pratiche. Altrimenti non sappiamo più cosa poter fare per restare a galla». (Giulia Del Re)
GEOSCAME E I CREDITORI IN RITARDO «Sopravvivenza a prezzo dell'onestà»
Dopo oltre trent'anni di attività, la Geoscame Srl di Teramo (1,5/2 mln di fatturato medio annuo), impresa edile specializzata in consolidamenti che vide la luce nel 1977, decide di chiudere i battenti. «C'è il dispiacere di non poter trasferire l'attività ai miei figli, ma non voglio introdurli in questo mondo». Così il titolare, Serafino Pulcini, inizia il racconto di come è maturata la decisione. «Un mondo dove per andare avanti e accelerare le cose a volte sei costretto a ricorrere a vie scorrette, così si crea una concorrenza sleale e chi vuole operare correttamente è tagliato fuori. E il peggior maestro è proprio il settore pubblico». Ma Pulcini è un imprenditore d'altri tempi, di quelli tutti d'un pezzo che non scendono a compromessi. E non ci sta. «Ci sono voluti 4-5 anni di auto-pressione mentale, ma alla fine mi sono convinto ad abbandonare, perché in questi anni, vissuti in parte anche da presidente dell'Ance teramana, ho visto i rapporti con gli enti logorarsi e i tempi dei pagamenti allungarsi sempre più». A oggi, spiega Pulcini, la Geoscame avanza dai creditori, per lo più Comuni, Province e Anas, ma anche qualche privato, circa 300mila euro. Tra questi, 100mila euro si riferiscono a indagini svolte su edifici privati nell'ambito della ricostruzione post-sisma all'Aquila, lavori che risalgono a due anni fa, ma del cui pagamento a oggi non c'è traccia, né si sa quando arriverà. Per di più qualche creditore privato è anche in procedura fallimentare o in concordato preventivo, per cui è probabile che con le priorità di pagamento alla Geoscame non toccherà nulla. Ma debiti no, la Geoscame non ne ha, se non un'esposizione bancaria di 20-25mila euro. Allora perché la chiusura volontaria? «La scelta deriva dal fatto che sarebbe impossibile anticipare ancora senza avere certezza dei tempi di rientro». «Ci sono stati anche momenti in cui sono stato costretto a dilazionare i pagamenti ai dipendenti, ma la mia priorità è sempre stata pagare gli enti previdenziali. I miei Dure sono sempre stati regolari». Dipendenti, per altro, già licenziati tutti a dicembre 2010. «La mia fortuna — prosegue — è stata quella di avere sempre disponibilità di credito dalle banche, grazie alla serietà con cui ho operato per trent'anni, ma a volte mettendo a rischio quei pochi beni ereditati di famiglia, e non derivanti dall'attività, per ottenere fideiussioni. Per non parlare del factoring! Oltre a garantirsi il credito che ti deve l'ente per i lavori fatti, la banca ti chiede comunque altre garanzie, e se alla fine l'ente non paga la banca torna da te». Tuttavia, ci spiega Pulcini, «ci vorranno anni prima di chiudere, forse 4 o 5, per risolvere un paio di contenziosi in corso e i pagamenti in sospeso». Anni in cui l'attività verrà tenuta in piedi solo formalmente, senza acquisire commesse. Allora forse in questo periodo di stand by tutto potrebbe ripartire? «Non ne ho nessuna intenzione — è categorico Pulcini — perché acquisire una commessa significherebbe anticipare 2-300mila euro, con l'incertezza dei tempi di rientro e il rischio di incorrere in una procedura fallimentare, e non voglio. Non ce la faccio più e smetto, ma con onestà, senza ricorrere al fallimento né al concordato». Il futuro dell'imprenditore è in un altro settore. «Con mia moglie — dice — abbiamo acquistato una tabaccheria. E poi c'è l'agricoltura, la produzione di vino ereditata da mio padre, che avevo messo da parte. A 64 anni, dopo 34 anni di edilizia, mi rimetto in discussione». (Fabiana Calzolaro)
SOLES FERMA DA UN ANNO In cassa integrazione 25 dipendenti
Oltre 35 anni di onorata carriera nel mercato dell'edilizia capitolina. Realizzazione di grandi opere e di lavori di manutenzione ordinaria. Poi la crisi. Il calo inesorabile dei bandi pubblici. I ritardi di pagamento da parte degli enti locali. «Da un anno siamo fermi, non facciamo più lavori». Si ritrova in queste condizioni la Soles Srl, di cui è socio Giovanni Salvetti, 68enne romano, un passato glorioso nei cantieri romani. «Vado avanti solo per i miei figli», entrambi impiegati nella società, uno ingegnere, l'altro laureato in Economia e commercio, rispettivamente 40 e 42 anni, entrati a far parte della ditta di famiglia una decina d'anni fa, ai tempi d'oro dell'economia romana. Uno dei due, Fabrizio, è stato anche presidente del gruppo giovani dell'Acer. «È per loro che ho deciso di non chiudere bottega — confida Salvetti — coi tempi d'oggi sarebbe duro trovare un'altra buona posizione professionale. La situazione è drammatica per tutti». Salvetti si dà un anno di tempo: «Se a metà del 2012 le cose non cambiano, chiudiamo i battenti. Una società deve poter vivere di un programma per il futuro, noi al momento non lo abbiamo. Per la prima volta dopo 35 anni di lavoro, ci ritroviamo a non avere prospettive e per il futuro non sembra esserci alcuna certezza». Tutto è cambiato tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009: il lavoro è rallentato, i bandi pubblici si sono ridotti all'osso e la concorrenza è spietata. Così, la Soles Srl l'anno scorso è costretta a mettere i suoi 25 dipendenti in cassa integrazione. «Non avevamo alternative», assicura Salvetti. Sono lontani i tempi d'oro, quando il fatturato della società arrivava a 10 milioni l'anno. Oggi si fatica a sbancare il lunario. La Soles Srl da ormai un anno non effettua lavori. Solo l'estate scorsa si è accesa una piccola speranza: «Ci siamo aggiudicati due piccoli bandi per il Comune di Roma: uno da 500mila euro e uno da 600mila euro. Ma ancora i lavori non possono partire, addirittura nel caso di un appalto manca la determina di aggiudicazione: in pratica, non si sa quando e se apriremo il cantiere». Tra l'altro, attualmente la Regione Lazio ha bloccato i pagamenti alle imprese per problemi di cassa, mentre il Campidoglio ha annunciato che le previsioni di pagamento per lavori effettuati ora sono spostate a metà del 2012. «Come fa un'impresa a sopravvivete? — si chiede Salvetti —. Pare non ci sia fine a questo tunnel». (g.d,r.)
CHIUDE ANCHE ITALCOGE Aveva l'appalto per il recinto della Tav
Il caso ha fatto "nunore" per l'importanza dell'opera, prima ancora che per le dimensioni dell'impresa coinvolta. In Valsusa, ad appena un mese dall'avvio del cantiere della Torino-Lione, le ruspe si sono fermate a causa del fallimento dell'Italcoge, una delle due imprese locali di proprietà della famiglia Lazzaro che, in Mi con la Martina, avevano ottenuto da Ltf l'appalto per recintare l'area della Maddalena di Chiamante, dove dovrà iniziare lo scavo del cunicolo esplorativo del tunnel di base. Lo stop, in realtà, è durato solo qualche giorno, tempo per Ltf (la Lyon-Turin Femoviaire) di rescindere il contratto con l'impresa fallita e di riaffidare i lavori alla sola ditta Martina Tuttavia l'azienda (il cui dissesto finanziario era già emerso più volte nei mesi scorsi e che ha, alle spalle, un passato chiacchierato) ha lasciato un vuoto importante nella Valle, che corre sotto la Sacra di San Michele: con sede a Susa, dava lavoro a una sessantina di dipendenti e aveva lavorato in subappalto per cantieri di valenza nazionale, come la Salerno-Reggio Calabria. Il fallimento è stato dichiarato i primi di agosto, in seguito all'istanza presentata dalla Procura della Repubblica per una sottocapitalizzazione della ditta. Le perdite (pari a oltre quattro milioni) hanno determinato l'abbattimento del capitale sociale e un passivo di 1,8 milioni. «Il dissesto finanziario — ha fatto sapere l'impresa, tramite il legale Francesco Torre che parla a nome del titolare Ferdinando Lazzaro — è la conseguenza dei ritardi nei pagamenti da parte dei clienti. Il credito più sostanzioso, circa 2,5 milioni, è quello vantato nei confronti del General Contractor della Salerno-Reggio Calabria, per lavori terminati a febbraio 20110. Pochi giorni prima del fallimento, l'Italcoge aveva anche subito un raid notturno, durante il quale erano stati danneggiati e dati alle fiamme alcuni camion. La situazione critica in Valsusa sta, ora, rallentando l'annuncio, da parte di Lf, degli elenchi di imprese selezionate, con accordo quadro, per svolgere i lavori accessori alla Torino-Lione: l'appalto, che comprende micro-opere per una forbice di valore compresa fra i 5 e i 18 milioni, è destinato proprio a dare impiego alle ditte della Valle, secondo la procedura francese della Démache Grand Chantier, importata in Piemonte da una legge regionale. (Maria Chiara Voci)
ETRURIA IN AFFANNO Tutti i dipendenti in Cigs
L'obiettivo immediato è far ripartire i cantieri, pubblici e privati, fermi da mesi, da quando sono finiti in cassa integrazione tutti i 316 dipendenti del Consorzio Etruria, la cooperativa fiorentina della galassia Legacoop finita sull'orlo del fallimento, che ora sta faticosamente tentando di tornare a galla. Dopo aver chiesto nel giugno scorso al tribunale di Firenze il concordato preventivo, e dopo l'arrivo di tre commissari, l'azienda con sede a Montelupo Fiorentino — a capo del primo gruppo di costruzioni toscano e 15esimo a livello italiano, con 800 dipendenti che salgono a 2.000 con l'indotto — ha proposto di soddisfare al 35% i creditori chirografari, che sono convocati dal tribunale per valutare la proposta il 24 ottobre prossimo. L'impegno dell'azienda è inoltre quello di mettere a disposizione dei creditori il 40% degli utili realizzati nei prossimi cinque anni, anche se è chiaro che la ripresa dell'attività e la realizzazione di margini, in un contesto ancora di forte crisi dell'edilizia, si annuncia assai difficile. «Il nostro obiettivo primario, essendo una cooperativa, è quello di salvare i posti di lavoro», spiegano all'azienda guidata da Riccardo Sani, ex manager di Unicoop Firenze, la più grande cooperativa di consumo italiana. E proprio da Unicoop Firenze è arrivato l'aiuto che dovrebbe permettere di far ripartire l'attività dei cantieri, cioè un primo finanziamento da 14 milioni che permetterà di pagare le mensilità arretrate dei lavoratori e di eseguire altri adempimenti «consentendo a Consorzio Etruria — ha precisato l'azienda in un comunicato — di tornare in possesso di alcuni requisiti giuridici per poter riprendere l'attività, secondo il piano concordatario». A fronte del finanziamento da 14 milioni, Unicoop ha ricevuto in pegno azioni della Inso, la controllata di Consorzio Etruria che non è interessata alla procedura di concordato preventivo così come non è coinvolta l'altra controllata Coestra. Inso, in particolare, è stata messa in vendita; la sua valutazione si aggira sui 50 milioni. «L'atto compiuto da Unicoop Firenze nei nostri confronti — dichiara l'azienda — testimonia, ancora una volta, che la solidarietà all'interno del movimento cooperativo non è una semplice dichiarazione di intenti, ma un tratto distintivo e caratteristico». Ma il soccorso di Unicoop Firenze non finisce qui. Appena il finanziamento da 14 milioni sarà omologato dai creditori, Unicoop è pronta a mettere altri 16 milioni di euro per sopperire alla carenza di liquidità di Consorzio Etruria, affondato sotto 250 milioni di debiti. (Silvia Pieraccini) ù
CORTO CIRCUITO DI BTP E interviene la Regione
La crisi si affianca a quella dell'altro grande colosso edilizio della Toscana, la Btp di Riccardo Fusi, anch'essa in concordato preventivo, con la conseguenza di aver creato un vero corto circuito nel settore edilizio. Tanto che prima dell'estate la Regione Toscana è intervenuta con l'attivazione di garanzie pubbliche fornite gratuitamente, attraverso Fidi Toscana, per coprire fino all'80% dei finanziamenti bancari accesi da piccole e medie imprese che vantano crediti verso le aziende edili insolventi, o verso imprese fornitrici di aziende edili insolventi. Naturalmente queste garanzie sono state pensate, in primo luogo, per l'indotto di Btp e Consorzio Etruria. (s.p.)

Flavia Landolfi - Il Sole 24 Ore