Costruzioni, Cresme: dal 2011 dovremmo ritrovare il segno più
Bellicini: segnali di ripresa nella seconda metà del 2010 per gli investimenti infrastrutturali
Il Cresme, Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l'Edilizia e il Territorio, realizza ricerche e favorisce incontri fra operatori pubblici e privati dal 1962. In questi anni il CRESME si è dotato di sistemi informativi in grado di monitorare costantemente l’andamento dei diversi mercati delle costruzioni, dall’immobiliare alla nuova produzione edilizia, dalla manutenzione al recupero, ai lavori pubblici, ai singoli prodotti e materiali, offrendo agli operatori del settore uno strumento indispensabile di conoscenza strategica. Il CRESME è composto al suo interno da differenti competenze e specializzazioni: statistiche, economiche, urbanistiche, storiche, giuridiche e sociologiche.
Direttore Bellicini, quali sono i dati salienti che emergono dal Rapporto Cresme 2009?
Il Rapporto del 2009 registra il difficile momento delle costruzioni all’interno di un contesto economico generale, anch’esso nel segno della recessione. Il 2009 è stato un anno molto duro che ha visto il mercato delle costruzioni vivere in pieno la fase discendente del ciclo, peraltro già iniziato alla fine del 2007. La nostra stima è di un calo complessivo degli investimenti del 10%, con tutti i comparti in caduta libera. La flessione è stata trainata dalle nuove costruzioni, soprattutto dall’edilizia residenziale, che ha perso rispetto al 2008 più del 19%. Ma anche l’edilizia non residenziale privata ha registrato un calo di circa il 16%. E nessun aiuto è venuto al settore né dalle opere del genio civile (-6%), che avrebbero dovuto svolgere una forte funzione anticongiunturale, né dalla manutenzione straordinaria del patrimonio esistente, che perde comunque un 5,4% rispetto all’anno precedente. In sintesi in soli tre anni siamo tornati ai livelli di inizio anni 2000. Questa flessione degli investimenti si è sovrapposta ad una contrazione eccezionale della produzione industriale che in due anni, nel 2008-2009, ha perso 30 punti percentuali. Se si pensa che la grave crisi degli anni 1992-1994 vide una riduzione della produzione di 10 punti percentuali, si comprende bene che cosa stiamo vivendo. Ma come in ogni fase di crisi il mercato tende ad assestarsi, a ritrovare un nuovo equilibrio per poi ripartire.
Emergono indicazioni dalla vostra analisi?
Nel nostro rapporto oltre all’analisi abbiamo evidenziato quali a nostro avviso sono i driver che orienteranno il nuovo ciclo positivo edilizio che dovrebbe ripartire dal 2011. Innanzitutto è necessaria una maggiore attenzione all’estero, molti sono i mercati che stanno già ripartendo, e senza parlare delle più importanti economie emergenti, basti pensare, vicino a noi, al nord Africa. In secondo luogo un ruolo molto rilevante lo sta già giocando l’innovazione tecnologica e sarà sempre più decisivo. Nello specifico del nostro mercato, le opportunità verranno dal Partenariato Pubblico-Privato, dalla capacità di integrare costruzione e servizi, dalla nuova edilizia sociale, dal processo di sempre maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale e all’energy technology.
Quale situazione si delinea in Italia per il mercato dei lavori pubblici?
Se guardiamo agli investimenti, le nostre stime dicono che nel 2009 per l’intero comparto delle opere pubbliche questi sono calati del 5,8% in valori costanti rispetto al 2008. Tuttavia qualche segnale in controtendenza sembra esserci, anche se non riguarderà l’anno appena iniziato. Un’inversione di tendenza reale potrebbe esserci nella seconda metà del 2010, che tuttavia non impedirà una chiusura d’anno sotto il segno negativo, che noi stimiamo intorno ad un ulteriore 3% rispetto al 2009.
Quali sono le vostre previsioni?
Dal 2011 dovremmo ritrovare il segno più. Se poi si sposta lo sguardo sulle gare di appalto allora ci accorgiamo che il mercato sostanziale, quello dei lavori nel breve periodo, sta ancora cambiando. Così dai primi consuntivi relativi al 2009 ci arriva una piena conferma del trend che sta caratterizzando le gare di appalto ormai da alcuni anni, una tenuta e anche una leggera crescita delle risorse investite, una crescita costante e in parte esponenziale del valore medio delle gare e un costante calo del numero, ovvero delle singole opportunità. Se si entra nel merito di questo mercato, ecco che si coglie bene come, a causa della scarsità di risorse pubbliche, si finisca per privilegiare grandi opere sopra i 100 milioni di euro, settori innovativi come il partenariato pubblico e privato (33% degli importi dei bandi di gara nel 2009: +53,6%), il facility management (16 miliardi di euro quelli legati alle costruzioni nel 2009: +36,3%), l’energy tecnology. Viceversa l’insieme delle piccole opere pubbliche tradizionali è segnato da un ruolo sempre minore. Stiamo parlando di meno di 19.000 gare, quando nel 2002 erano 35.000. Alla fine del 2009 il bilancio economico segna un +2%, grazie al significativo recupero delle grandi opere di importo superiore alla soglia comunitaria dei 5 milioni di euro, che registrano una crescita del +16%, contro un –19% delle opere di minore dimensione. Un calo dovuto alla grave crisi finanziaria degli enti locali che nel 2009 hanno visto ridurre la loro attività di committenza di opere pubbliche del 24% con una contrazione degli importi messi in gara del 17%, contro il 3% del 2008. Viceversa le maxi gare di importo superiore a 15 milioni, volte alla realizzazione di infrastrutture, impianti e reti di pubblica utilità, risultano cresciute del 18%.
Ha prevalso, dunque, la scelta di priviliegiare le grandi opere?
Possiamo dire che per quanto riguarda le grandi opere siamo entrati in una nuova stagione che si caratterizza in modo molto diverso rispetto al ciclo precedente (2002-2004) dominato dai grandi contratti da affidare con gli strumenti del contraente generale e dell’appalto integrato e finanziati interamente con risorse pubbliche. Oggi non potendo più contare che parzialmente su adeguate risorse pubbliche la realizzazione delle grandi infrastrutture pubbliche dipenderà dal successo del PPP. Quanto fin qui descritto evidenzia il rischio di una inevitabile tensione sul piano dell’offerta. Il nostro tessuto imprenditoriale è fatto di piccole e medie aziende che vedono progressivamente contrarsi gli spazi di un mercato che viceversa è sempre di più appannaggio di grandi imprese. C’è il rischio concreto di una perdita di competenze e una disarticolazione di un sistema che deve ricercare e trovare nuovi equilibri basati sull’aggregazione e l’integrazione verticale e orizzontale. Del resto i numeri parlano chiaro. Quando i nuovi mercati come il PPP o il Facility Management vengono a pesare per oltre il 50% del valore complessivo del mercato delle gare di opere pubbliche allora appare inevitabile un cambiamento strutturale dell’offerta. Sul fronte della domanda diventa urgente offrire indicazioni chiare, aumentare la trasparenza su quante siano le risorse e dove siano destinate, così come in quali tempi possano trasformarsi in finanziamenti reali. Resta aperta la partita delle risorse private, che oggi anche alla luce dei programmi per le infrastrutture strategiche risultano essenziali per garantire la realizzazione di quanto previsto.
