Difficile aprire i cantieri, la Pa li aggira e inventa servizi
Ecco come è nato il boom del facility management
Roma, 27 dicembre 2011 - C’è una nuova frontiera silenziosa nell'attività della pubblica amministrazione, soprattutto locale, che il Cresme, centro studi specializzato in edilizia, ha evidenziato negli studi degli ultimi mesi: di fronte alla rigidità dei vincoli imposti dal «patto di stabilità» per le spese di investimento, gli enti locali sempre più fanno ricorso agli appalti di servizi che consentono di trasformare la spesa in conto capitale in spesa corrente e i cantieri in gestioni, manutenzioni, servizi. La scoperta del boom del facility management nella pubblica amministrazione poggia su solide basi numeriche. Nel 2007 l'importo dei bandi di gara per lavori era pari a 28,8 miliardi contro i 24,1 del facility management. Nel 2010 il rapporto era rovesciato: 31,3 miliardi di lavori, 35,9 di facility management. Si può certamente dire che dai vincoli finanziari e dalle complicate norme sui lavori pubblici si è prodotta un'evoluzione positiva che offre alla pubblica amministrazione un ventaglio di strumenti più ampio e più flessibile di quanto fosse in passato. La rigidità dei tempi della «legge Merloni» (erano gli anni'90) non esiste più e oggi ogni amministrazione utilizza il «fai-da-te» contrattuale, che è un bene finché rispetta i principi della concorrenza e della trasparenza. Dei bandi di gara di facility management pubblicati nei primi nove mesi del 2011, per un totale di 28,7 miliardi, la fetta più consistente, 7,8 miliardi pari a più di un quarto, riguarda proprio l'edilizia e le infrastrutture. Se si aggiungono utilities per 5 miliardi e servizi ambientali per 3,5 miliardi, oltre la metà del facility management è dedicato a servizi attinenti comunque alla gestione degli edifici o territoriale. Un'altra tendenza evidenziata dal Cresme dice come questa evoluzione nel senso di un allargamento degli strumenti della Pa vada in senso positivo. Fra le opere pubbliche messe in gara diminuiscono i contratti di «sola esecuzione» per lasciare spazio a tipologie meno elementari e rigide: il project fmancing, il leasing immobiliare, le concessioni, i contratti di global service sono forme che spingono le amministrazioni a innovare e anche a fare i conti con vincoli e risorse. Nel 2007 i lavori di «sola esecuzione» erano 15,6 miliardi su 28,8, più della metà. Nel 2010 sono stati u miliardi su 31,3, poco più di un terzo. Se si parla con un sindaco, dirà che questa scelta è obbligata perché i pagamenti per gli investimenti si bloccano prima di metà anno e nessuno riesce a bloccarli. L'amministratore ci vede un duro lavoro, anche di adattamento delle regole più che una soluzione intelligente. La crescita del mondo dei servizi è però una delle chiavi di volta della crisi italiana che ha bisogno di far crescere questo settore a scapito di altri più tradizionali. Questo vale non solo per la domanda, ma anche per l'offerta. Il vecchio costruttore non esiste quasi più ed è destinato a scomparire per lasciare il posto a quelle imprese che nel "cantiere" sempre più iniettano innovazione tecnologica, capacità gestionali, efficienza manutentiva, servizi finanziari. Da qui è anche la strada perla ripresa di un settore oggi tramortito.