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Briciole di pane

Ecco cosa serve per le infrastrutture

Roma, 1° agosto 2012 - I 145 Paesi che hanno un reddito pro-capite inferiore a 12.275 dollari necessitano di 850 milioni di dollari ogni anno in infrastrutture, pari al 7% del Pil, di cui circa il 40% nel settore elettrico, il 25% nell'idrico e il 20% nei trasporti. Lo rileva uno studio di Roland Berger (società di consulenza strategica più importanti al mondo) dal quale emerge che, in realtà, gli investimenti (normalmente pubblici per circa il 70%-80%) non superano il 2,5% del Pil anche nelle economie a forte crescita. Di qui la necessità di coinvolgere investitori privati, che però tendono a sovrapesare il rischio per motivazioni non sempre fondate. In Italia, se è vero che gli investimenti infrastrutturali sono stati per anni in linea con quelli degli altri Paesi europei (il 2,5% del Pil), permane una dotazione infrastrutturale inferiore del 15-20% rispetto a quella dei partner. Per recuperare il tempo perduto, tenuti conto dei vincoli stringenti di finanza pubblica, occorre varare una serie di iniziative fondamentali: 1) accordo con i concessionari per la devoluzione di parte dei cash flow per alcuni anni in cambio di maggiori certezze sulle concessioni, 2) promozione di un fondo infrastrutturale di durata trentennale cui partecipino i principali players infrastrutturali, il sistema bancario e i fondi sovrani, 3) modifica del modello di aggiudicazione delle gare attraverso il criterio del progetto economicamente più efficiente, dove il prezzo può essere anche superiore alla base d'asta, anziché con quello del massimo ribasso, 4) introduzione di un regime autorizzativo speciale con l'attribuzione di poteri a un Commissario (si veda il caso Passante di Mestre) per superare i lacci posti dal numero elevato di enti territoriali e locali coinvolti nella realizzazione di un'opera. In questo modo si attiverebbe un circolo virtuoso, anche in regime di ristrettezze finanziarie, e si doterebbe gradualmente il Paese di infrastrutture all'altezza e funzionali alla crescita.

  Roland Berger