Economia, dalla "Blue economy" segnali in controtendenza
I settori legati al mare come leva per il rilancio

Roma, 14 maggio 2014 - Nella crisi generalizzata del sistema Italia, l’economia del mare ha mostrato evidenti segni di tenuta. Anzi, di crescita. Il periodo di riferimento è quello, drammatico, 2009-2013. I numeri parlano chiaro: a fronte della perdita totale di 691.200 posti di lavoro (-2,9%), la “Blue economy” ha fatto segnare un incremento stimato di 24.300 unità (+3,1%), con un notevole impulso derivante dalle attività di ricerca e tutela ambientale, assieme alla componente turistica. Dati in controtendenza pure sul fronte delle imprese, il cui numero è aumentato nei comparti legati al mare, diminuito nel resto dell’economia.
Tutto questo, con il corredo di molte analisi di dettaglio, si può leggere nel 3° Rapporto UNIONCAMERE sull’economia del mare, presentato il 30 aprile scorso a Gaeta. Che, opportunamente, fa emergere due tratti salienti di tale economia. Il primo, è la sua straordinaria trasversalità. Ragionando in termini di valore aggiunto, “Blue economy” significa, per circa un terzo, attività legate al turismo marino; per un quinto, il cosiddetto “terziario avanzato” rappresentato da ricerca, regolamentazione e tutela ambientale; per (quasi) un altro quinto, i trasporti di merci e passeggeri via mare; senza dimenticare la filiera ittica e dell’industria estrattiva marina, con il 6-7% ciascuna.
La seconda caratteristica, è la straordinaria capacità di attivazione sul resto dell’economia. L’economia del mare, in realtà, non esaurisce i suoi effetti nelle attività che rientrano direttamente nel perimetro dei settori che la definiscono: è in grado di attivare indirettamente, a monte e a valle della filiera, ulteriori effetti sul sistema economico, agendo da vero e proprio “moltiplicatore”. Si calcola che per ogni euro prodotto da questo settore se ne attivino altri 1,9 nel resto dell’economia. Ciò significa che ai 41,5 miliardi di valore aggiunto (in termini nominali) prodotti, nel 2013, dalle attività direttamente legate al mare, hanno fatto riscontro altri 77,4 miliardi di euro attivati nel resto dell’economia.
Non è, quindi, un caso che il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, abbia definito l’economia del mare “una leva straordinaria per il rilancio dell’Italia”. Indicando, tra le linee d’azione più pressanti, “lo sviluppo delle competenze del mare e la maggiore interoperabilità dei nodi della logistica, per favorire un migliore accesso alle città e ai territori”.
Possiamo aggiungere, dal nostro canto, che il Piano Nazionale della Logistica, redatto tra il 2010 e il 2011, aveva visto giusto nel focalizzarsi sulla portualità; e nell’indicare interventi concreti finalizzati a razionalizzare il sistema dei porti, oltre che a migliorare i collegamenti con l’entroterra. Interventi che aspettano solo di essere attuati. Se vogliamo ripetere che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, questa volta, almeno, il gioco di parole sembra assai appropriato.