F2i, Gamberale raddoppia: "Compreremo infrastrutture da Comuni e Regioni"
L'Ad ha quasi esaurito la dotazione di 1,8 miliardi ma sono in corso contatti per un secondo strumento da 1-1,2 miliardi
Roma, 23 gennaio 2012 – Ora che si è arrivati a un investimento complessivo in infrastrutture di 1.700 milioni rispetto ai 1.850 raccolti, c'è chi comincia a fare un bilancio di F2i. Il primo fondo infrastrutturale italiano, guidato da Vito Gamberale e partecipato da una pluralità di soggetti - dalla Cassa depositi e prestiti a sette Fondazioni e a tre banche, Merryl Lynch-Bofa, Intesa San Paolo e Unicredit - ha raggiunto di fatto gli obbiettivi d'investimento e per i prossimi anni, da qui al 2024, quando dovrebbe essere liquidato con la vendita degli asset, resta solo da implementare i business dove è entrato. Quindi, resta la sapiente gestione delle società partecipate, che potranno effettuare nuovi investimenti pescando soltanto dal proprio cash flow e dalla propria capacità autonoma di indebitamento.
La storia dunque non è finita, ma in un certo senso comincia ora. Tuttavia, considerato il successo della prima fase, sono in corso contatti tra potenziali investitori per vedere se è possibile raccogliere fondi per un nuovo strumento da 1-1,2 miliardi di euro, con gli stessi obbiettivi del primo, ovvero l'investimento in infrastrutture. «Stimiamo - dice l'amministratore delegato Vito Gamberale - che ci siano investimenti potenziali per almeno 7 miliardi, soprattutto nelle infrastrutture di Comuni, Regioni e Province, molti dei quali ci hanno già contattato e che vorrebbero seguire la strada del Comune di Milano, dal quale abbiamo acquisito il 30 per cento della società aeroportuale Sea. Io penso che di questi 7 miliardi potenziali potremo essere interessati a circa il 50-60 per cento, a cui potremmo arrivare utilizzando anche la leva finanziaria». In un certo senso, l'esperienza del fondo F2i sembra accontentare tutti. Sono certo soddisfatti i soci, a cui arrivano ogni anno rendimenti del 5 per cento circa. Ma che alla fine di tutto, quando usciranno dal fondo alla fine del suo ciclo di vita, dovrebbero portare casa, comprendendo le plusvalenze, un rendimento medio annuo del 12 per cento circa. Certo la fuoriuscita dei soci stabili del fondo porterebbe incertezza nella proprietà di importanti infrastrutture italiane. Quindi è possibile che, se allora la situazione dei mercati lo permetterà, il fondo potrà sbarcare in Borsa, tramutandosi di fatto in una public company. In questo caso, secondo il proprio regolamento, il fondo potrebbe allungare la vita fino a 30 anni.
Insomma, già esaminando questa possibilità s'intravvede anche l'altro soggetto che può considerarsi soddisfatto di come stanno andando le cose. Ovvero lo Stato. Perché è ovviamente nell'interesse pubblico mantenere la proprietà di importanti infrastrutture all'interno del paese. «Con Enel Rete Gas - ricorda Gamberale - abbiamo riportato all'interno del nostro paese anche le reti della tedesca E.On e della francese Gaz de France. Creando per giunta un campione nazionale in questo campo, che potrà adesso crescere ulteriormente, laddove c'era prima soltanto Italgas».
Campione nazionale. Già, perché uno degli obbiettivi di F2i è proprio quello di acquisire reti indipendenti che siano anche in nuce dei campioni nazionali. «Abbiamo creato 5-6 filiere - dice Gamberale - il gas, gli aeroporti, le tlc ora con Metroweb (anche questa una re-italianizzazione), l'acqua, le energie rinnovabili e le autostrade, dove ci piacerebbe crescere». E si guarda a una nuova filiera, quella dei termovalorizzatoti.
Per qualche tempo, all'inizio dell'avventura di F2i, Gamberale fu criticato in alcuni ambienti pubblici che forse avrebbero voluto trasformare il Fondo in una specie di Iri. Lui spiegò che il fondo aveva come mission quella di investire in brown-field, poiché l'orizzonte temporale di questo strumento e le necessità dei soci privati erano tali da sconsigliare l'investimento in reti ancora da costruire. «Ma in teoria sarebbe possibile anche attivare investimenti in greenfield - spiega Gamberale -. Certo ci vorrebbe un orizzonte temporale di almeno 20-30 anni. Ma, soprattutto, si dovrebbero poter superare le lungaggini dei processi autorizzativi che oggi bloccano la realizzazione di queste infrastrutture. Ma si potrebbe fare: il modello, secondo me, è quello di un commissario come si è ben fatto nel Passante di Mestre. Si dovrebbe procedere individuando un numero ristretto di opere (e tra queste ci metterei la Napoli-Reggio Calabria) ponendo a capo un commissario per ciascuna di esse». Per quanto riguarda i settori, «io privilegerei le autostrade (Pedemontana lombarda e la Tirrenica in primo luogo) più alcuni sviluppi del gas e delle fibre ottiche». E se il governo chiedesse a Gamberale di entrare nel greenfield? «Non mi tirerei indietro, ma il governo dovrebbe mostrare la volontà».