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Briciole di pane

Fase II: rilanciare il project financing

Rilanciare la finanza di progetto per colmare il gap infrastrutturale. Darebbe una mano contro la recessione

Roma, 13 gennaio 2011 – Non penserete veramente che con la liberalizzazione di farmacie, taxi e benzinai si possa alimentare la crescita del Pil del nostro Paese? E soprattutto in una misura che sia adeguata a garantire riduzione e sostenibilità del nostro debito pubblico, contrazione della pressione fiscale o realizzazione di investimenti che rendano competitivo il contesto in cui le nostre imprese devono operare. Il ministro Corrado Passera ha sottolineato come le infrastrutture non rappresentino un punto forte dell'Italia e quanto sia necessario che tale ritardo vada progressivamente colmato. Gli investimenti infrastrutturali possono, infatti, avere una funzione antirecessiva oltre che di supporto alla competitività delle imprese. Fin qui nulla da obiettare. Si tratta di un dato certificato da anni dalla pubblicistica di settore e che trova riscontro in molti monitoraggi internazionali. Uno per tutti, il Global Competitiveness Report 2011-2012, realizzato dal World Economic Forum di Ginevra, riconosce all'Italia il 32° posto nel rankinginternazionale sulla dotazione infrastrutturale, molto indietro rispetto a Germania (2°), Francia (4°), Regno Unito (6°) e addirittura a Spagna (12°) e Portogallo (23°). La sfida che abbiamo davanti è duplice: fronteggiare una recessione in atto, che è ben altro impegno che aumentare una crescita debole, e recuperare un gap infrastrutturale storico. Peraltro, alla luce di un impegno finanziario sugli investimenti che ha registrato un trend decrescente: secondo i dati forniti da Ance, i tagli ai fondi per le infrastrutture a opera della legge di Stabilità 2012 prevedono una diminuzione del 13,6% reale sul 2011 (dopo il -18,14% del 2011, il -9,5% del 2010 e il -10,4% del 2009).

Ma dove recuperare le risorse per tutto questo? Certamente non solo snidando quelle che sedimentano nelle pieghe del bilancio pubblico o efficientando la macchina pubblica, soluzione da adottare, ma che richiede tempi lunghi anche ai periti più sofisticati. Per un Paese che vanta un debito pubblico almeno pari alla ricchezza privata, l'unica grande soluzione resta il coinvolgimento dei privati. Occorre dunque rilanciare il project financing, visto che l'impegno fino a ora inadeguato ha determinato una crescita contenuta delle infrastrutture rispetto alle aspettative riposte nell'istituto al momento del suo recepimento nel quadro legislativo (1998) e al momento della costituzione (1999) dell'Unità Tecnica per la Finanza di Progetto (Utfp) , task force che presidia questo impegno. Per recuperare il tempo perso è necessario proprio ripartire da qui, rilanciando l'Unità Tecnica per la Finanza di Progetto, magari trasformandola in una vera agenzia con responsabilità anche autorizzative e regolatorie sul tema. Rilanciarla, con strumenti, risorse e poteri invece che lasciarla scevra di poteri e risorse nel ruolo di segreteria a scartabellare per conto dell'Istat e dell'Eurostat i piani economico-finanziari del passato. Si dovrebbe valorizzarne il ruolo di promozione del project finance e di sviluppo di nuovi progetti a supporto delle amministrazioni che dopo un decennio non sanno ancora strutturare una concessione di costruzione e gestione o elaborare un piano economico-finanziario, al punto che, in barba a ogni confronto competitivo, se lo fanno fare sottobanco da chi parteciperà alla gara.

In secondo luogo, andrebbe esteso a tutte le nuove infrastrutture lo sgravio fiscale su Iva, Ires e Irap, garantendo a ogni progetto la sostenibilità anche quando ragioni di mercato o di equilibrio sociale risultano condizioni ostative. Inoltre, con lo sgravio d'imposta non si userebbero risorse pubbliche: lo Stato rinuncerebbe, infatti, a un'entrata futura che comunque non avrebbe data la stasi degli investimenti, alias il costo addizionale per i bilanci pubblici sarebbe nullo. Non occorre far molto: basterebbe estendere le previsioni dell'ultima manovra Berlusconi (art.18, legge n. 183/2011) e della manovra Salva Italia (art.42, com.8, legge n. 214/2011) a tutte le opere, e non solo a quelle per la mobilità, e l'applicazione ai territori, con un raccordo, anche autorizzativo, con l'Utfp, che va sdoganata da un ruolo «romanocentrico». Oltre ad alimentare la crescita, farebbe per lo meno riverberare un impeto federalista in un Governo che sembra avere dimenticato anche la parola. Verbo di cui, solo poco tempo fa, tutti si sono riempiti la bocca, maggioranza e opposizione, eleggendola a panacea di tutti i mali per cittadini, imprese e pubblica amministrazione.

Marco Nicolai (fonte: Finanza e Mercati)