Grandi opere in cerca di 70 miliardi
La liquidità c'è, ma non riesce ad arrivare alle infrastrutture italiane
Milano, 25 ottobre 2011 - Boom di capitali privati internazionali: più di 500 fondi a lungo termine per 50 mila miliardi a livello mondiale sono pronti a investire in infrastrutture. Lo ha reso noto Bernardo Bini Smaghi, responsabile business development di Cassa depositi e prestiti, ma la brutta notizia è che l'Italia è completamente tagliata fuori da questo flusso. Anzi, gli investitori scappano, come ha sottolineato Massimo Caputi di IDeA Fimit Sgr, perché penalizzati da norme e fisco. Tanto che, paradossalmente, la vicina Turchia potrebbe superarci per numero di progetti conclusi con il ricorso al Partenariato pubblico-privato (Ppp). Perché? Le norme sul project finance sono scritte in una quindicina di pagine, mentre in Italia la legge oltre che farraginosa è già stata modificata tre volte. Per tornare ai fondi, questi «sono pieni di liquidità», dice Mario Ciaccia, ad e dg di Biis (del gruppo Intesa Sanpaolo), «e non chiedono che di investire». Purtroppo in Italia non ci sono progetti confezionati in maniera tale da attrarre gli investitori privati. Dal 2000 ad oggi «solo 36 operazioni, per complessivi 6,2 miliardi, sono arrivate al closing, con equity poco sopra il miliardo», ha ribadito Bini Smaghi. Non solo ma c'è un'elevata mortalità «di progetti di partenariato pubblico privato: su 112 operazioni della Bei effettuate l'anno scorso per complessivi 18 miliardi, l'Italia ne ha chiusi per 0,4 miliardi», ha evidenziato Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti. Lo stato di salute sulla situazione italiana è stato fatto ieri nel corso della quarta edizione dell'Infrastructure Day, dedicata al tema «Come finanziare le infrastrutture tra necessità del paese, vincoli di bilancio e affordability». I protagonisti del settore, dal ministero per le Infrastrutture all'Anas, si sono confrontati con alcuni player del mondo dell'equity (Cdp, Axa, IDeA Fimit Sgr, Morgan Stanley, Vei Capital) e del debito (Biis, Unicredit Logistics, Bei, Deutsche Bank). Lo scopo? Trovare 30-40 miliardi necessari a finanziare l'equity di opere calde e fredde, che secondo le stime ministeriali necessitano di circa 70 miliardi di risorse private. L'appuntamento è servito anche a indicare possibili alternative per ricostruire il mercato italiano del debito per le infrastrutture. In mancanza di risorse pubbliche per le opere che il governo ha annunciato «a costo zero», si dovrà puntare sui project bond, «che si ripagano con lo sfruttamento dell'opera che realizzano», ha ribadito Scannapieco e la cui sottoscrizione «non è preclusa alla pa», ha sottolineato Federico Sutti, regional managing partner di Dla Piper. C'è chi, come Ciaccia, ha proposto project bond di natura privatistica, trovando una sponda robusta in Flavio Valeri, chief country officier Italy di Deutsche Bank. Enrico Orsenigo, managing director responsabile di Vei Capital, ha invece evidenziato il problema del passaggio delle risorse dalle brownfield (infrastrutture già realizzate) alle greenfield (da realizzare) visto che queste ultime fanno più fatica a trovare capitali privati. Stefano Granati (Anas) ha proposto la riedizione del fondo di garanzia per le banche, che potrebbe essere alimentato, ha spiegato, «da parte delle multe dei tutor e dei pedaggi stradali»; a sua volta Maurizio Maresca, vicepresidente di Unicredit Logistics, ha chiesto l'istituzione dell'Authority dei trasporti «per legare le infrastrutture al traffico generato». E Incalza (ministero delle Infrastrutture) ha proposto di dare in concessione più assi infrastrutturali organici, come il Grande raccordo anulare o l'asse di Fiumicino. «Stiamo portando avanti un concetto di concessione diverso, nuovo», ha sottolineato, «la concessione di reti infrastrutturali organiche da parte di una stazione unica appaltante». E nel decreto sviluppo, in arrivo c'è anche la grande novità evidenziata da Giorgia Romitelli, partner dello studio legale Dla Piper, che è «il diritto di prelazione» che riporta al centro della finanza di progetto l'iniziativa dei privati. Il dibattito si è poi concentrato sulle misure per rendere più appetibile l'investimento in infrastrutture e sulle misure previste dal prossimo Decreto Sviluppo in via di approvazione. Sarà necessario agire sul fronte della semplificazione per rendere meno burocratici i processi di autorizzazione per dare certezza di tempi agli investitori, come ha sottolineato anche Markus Hottenrot, managing director co-head del fondo infrastrutture di Morgan Stanley, che ha investito nell'aeroporto di Venezia e che ha lamentato il fatto che «in Italia non viene applicata la normativa Ue che rende obbligatorio l'adeguamento delle tariffe aeroportuali». Altra richiesta è la stabilità di regole perché non si verifichi, come di fatto avviene oggi, che si cambino le regole del gioco con i progetti avviati. Il convegno, organizzato dallo studio legale Dla Piper insieme a MF-Milano Finanza e ItaliaOggi, ha di nuovo messo in evidenza che «il sistema non è abituato a recepire equity. E i progetti finanziati», secondo Bernardo Bini Smaghi, «riguardano quasi sempre solo le autostrade». Il problema vero, ha messo in luce il responsabile business development di Cdp, «sono gli studi di fattibilità, in particolare il piano finanziario dove spesso è assente l'affordability, ovvero non si spiega dove le pubbliche amministrazioni trovino le risorse. Un difetto che blocca tutto il processo». Tra gli aspetti migliorabili c'è anche quello relativo ai rendimenti, che per gli investitori privati non devono essere inferiori al 12% perché una operazione possa essere presa in considerazione. Bini Smaghi ha evidenziato «che in Italia non si raggiunge questo tasso indicato come minimo e quasi mai viene esplicitato in fase progettuale». Gli investitori esteri, ha aggiunto, «preferiscono le aree con tripla A, mettono più volentieri i capitali nel settore delle energie rinnovabili piuttosto che nelle infrastrutture brown-field». Cosa chiedono? Differenziazione dei settori di investimento, trasparenza dell'iter processuale dell'opera e degli appalti e durata di impegno inferiore a 10 anni. Quanto agli investitori esteri, se c'è chi come Axa private equity, rappresentata da Massimo Mion, ha investito nella grande distribuzione, negli ospedali e nelle energie rinnovabili c'è il problema, evidenziato da Caputi, della tassazione aggravata degli investitori esteri che sottoscrivono più del 5% delle quote dei fondi immobiliari.