Grandi ritardi per Grandi stazioni
La Corte dei conti denuncia i pesanti slittamenti del progetto, avviato da quasi dieci anni. La riqualificazione degli scali non finirà prima del 2015
Milano, 23 novembre 2012 – Neanche la legge obiettivo, inventata nel 2001 dal governo Berlusconi, ha potuto fare nulla. Anzi, ha creato tali problemi legali, tra ricorsi e controricorsi, che alla fine le Grandi stazioni sono rimaste ferme al binario. O meglio, la realizzazione è partita con una lentezza esasperante, tanto da costringere la Corte dei conti, che ha presentato la sua relazione sulla «Gestione dei lavori di interesse statale sulle Grandi Stazioni e rispetto delle finalità sottese alla contribuzione pubblica dello Stato pertinente all'attuazione della legge obiettivo» a denunciare «pesanti slittamenti nella tempistica di attuazione». Con la previsione di arrivare al 2015 o anche più in là.
Certo è che la magistratura contabile non fa mancare critiche alla realizzazione di un progetto che prevedeva la risistemazione all'interno e all'esterno, da parte della Grandi stazioni spa (la società guidata da Fabio Battaggia controllata al 60% dal Gruppo Ferrovie dello Stato e al 40% da Eurostazioni spa, partecipata, a sua volta, per il 32,71% da Edizione srl di Benetton, per il 32,71% da Vianini Lavori del Gruppo Caltagirone, per il 32,71% da Pirelli &C S.p.A. e per l'1,87% da Sncf Participations S.a) dei grandi complessi di Genova Brignole e Porta Principe, Milano Centrale, Torino Porta Nuova, Venezia Santa Lucia e Venezia Mestre, Bologna centrale, Firenze Santa Maria Novella, Roma Termini, Napoli centrale, Bari centrale e Palermo centrale. Un programma avviato nel 2003 con la delibera Cipe n.10 del marzo di quell'anno e che purtroppo non è ancora terminato a quasi dieci anni di distanza.
Scrivono i relatori: «L'analisi dei tempi offre un quadro sconfortante: tre anni dalla progettazione preliminare (marzo 2003) delle opere esterne (cioè quelle complementari finanziate per oltre il 90% dalla mano pubblica, ndr) per arrivare all'approvazione dei progetti definitivi (aprile 2006), altri due anni per l'aggiudicazione degli interventi relativi alla stazione di Roma Termini (luglio 2008) e ancora due/tre anni dalla proposta di rimodulazione dei progetti e dei quadri economici (maggio 2009) per pervenire alla pubblicazione della delibera Cipe n.61/2010 (febbraio del 2011) e degli ultimi provvedimenti che approvano le varianti sostanziali inerenti taluni complessi di stazione. In sintesi, sono passati «più di dieci anni» senza che il progetto sia stato realizzato per intero, tanto che alcune stazioni saranno completate «alla fine del 2015» e si rischiano «ulteriori rinvii a causa di eventi conflittuali (risoluzioni dei contratti, chiusura dei cantieri) maturati nel corso del 2012». Come dire che, quando tutto sarà finito, le opere realizzate saranno già invecchiate, visto che i progetti risalgono al principio del terzo millennio. Ma tant'è, siamo in Italia e le cose da sempre vanno così. Anche se in questo caso si esagera, perché il Cipe ha dettato nella delibera di approvazione dei progetti troppe prescrizioni, mentre le Sopraintendenze per i beni architettonici e archeologici «hanno imposto modifiche ai materiali, alle tecniche di esecuzione e alla struttura di alcune opere» e per di più sono «insorte interferenze con diversi operatori non preventivamente considerate».
Fa quasi sorridere, ma non per le pesanti conseguenze economiche leggere che è stato necessario «riprogrammare le modalità di affidamento» a causa «dell'insorgere di diverse contestazioni giudiziarie» oppure scoprire che Grandi stazioni è stata costretta a «operare adeguamenti progettuali per recepire ulteriori istanze di amministrazioni locali e soggetti terzi, presenti nei complessi di stazione, nonché per compensare, attraverso la riduzione di alcuni interventi, l'aumento dei relativi costi». Una vera Babele, insomma, e «a completare la confusione sono arrivati «la sentenza demolitoria del Tar» che ha negato la possibilità di affidare la realizzazione delle opere a un solo general contractor, la scelta di «mettere in gara lavorazioni in parte finanziate con fondi propri (opere interne) e in parte con fondi propri e dello stato (opere esterne) che ha consentito al soggetto aggiudicatore di privilegiare i più remunerativi interventi interni ai complessi di stazione, quelli in grado di assicurare maggiori entrate per canoni di locazione e diritti pubblicitari». E su tutto hanno inciso le varianti in corso d'opera, che «inevitabilmente provocano sospensione dei lavori e inducono pretese (riserve) da parte degli affidatari di frequente accolte in sede contenziosa». Il risultato è stato l'iscrizione di riserve per oltre 110 milioni, di cui «risultano non ancora transatti 91,3 milioni».