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Briciole di pane

Il cantiere Italia emigra all'estero

Gli investimenti nella penisola sono fermi

Roma, 1 febbraio 2010 - Il cantiere Italia fa le valigie. Ed emigra all'estero alla ricerca di appalti e nuove commesse. Dopo due anni di impalcature ferme, o quasi, con flessioni di volumi in tutti segmenti del settore, la spesa globale in costruzioni ritorna a crescere. La parola ripresa è ancora tabù, ma l'incremento atteso per il 2010 (un più 2,7%) degli investimenti in infrastrutture e residenziale lascia ben sperare gli operatori. Stando alle analisi del Cresme, quest'anno, le risorse sul piatto ammontano a 4.690 miliardi di euro, l'11% del Pil globale, una montagna di denaro per realizzare nuovi edifici, ponti, strade, fabbriche. 

Per la prima volta sarà il mercato asiatico ad essere protagonista, 1.743 miliardi (il 37% del totale) di giro d'affari, con la Cina prepotentemente in testa, superando quello europeo, ridotto a 1.591 miliardi. Nell'ex Celeste impero l'edilizia incide per oltre il 20% sul prodotto interno lordo, in Indonesia la percentuale sale addirittura al 40%, contro il 6% degli Usa e il 10-12% di Italia, Germania, Francia e Regno Unito.

E il Made in Italy che ruota attorno al mattone punta la bussola verso i mercati più promettenti. Oltre l'Asia (+6,3%), è in grande spolvero per crescita di spesa l'altra sponda dell'Atlantico: +6,7% in Nordamerica e +5,5% in Sudamerica. La voglia di internazionalizzazione è palpabile in casa Federcostruzioni, l'ente nato nel 2009 come federazioni di tutte le associazioni del comparto, in rappresentanza di un universo che vale 370 miliardi di euro di ricavi, 30 mila imprese e 3 milioni di dipendenti. L'obiettivo è fare rete. Sbarcare all'estero con un sistema di imprese compatto, in grado di fornire ai committenti una filiera di competenze che va dalle macchine di cantiere fino alla progettazione e alla realizzazione dell'opera chiavi in mano. La export strategy di Federcostruzioni sta diventando una necessità sempre più impellente. Perché la domanda interna nella Penisola è calata in modo drastico, lasciando a secco migliaia di imprese. Soprattutto le più piccole, i cui fatturati poggiano sul mercato italiano.

Sfoglia i dati con amarezza Palo Buzzetti, presidente di Ance e numero uno di Federcostruzioni: negli ultimi tre anni gli investimenti sono scesi del 20%, la produzione industriale gi del 30%, 100 mila operai in esubero. E oggi, di questo passo, a rischiare il posto ci sono pi di 250 mila persone. «Se crolla l'edilizia, viene già tutto il resto» dice Buzzetti ricordando che le «aziende colpite dalla crisi comprendono un indotto vastissimo». Solo il pianeta costruzioni in Italia vale 154 miliardi di euro. Ma poi bisogna contare i servizi di ingegneria (19 mld), industria del cemento (l6mld) ,fabbricazione di strutture metalliche (14 mld), prodotti di legno per l'edilizia (8 mld) e altri 154 miliardi sono ascrivibili a piastrelle, ponteggi, macchine per l'edilizia, prodotti per l'isolamento.«1150% dei ricavi delle nostre aziende spiega Buzzetti proviene già da oltre frontiera. Una quota che ci dice quanto le nostre imprese siano competitive sui mercati esteri. Ma questa percentuale sembra non bastare più. Perché nel nostro paese languono gli investimenti. E il governo sembra guardare altrove: niente aiuti sul fronte della fiscalità, meno risorse per le opere pubbliche, niente incentivi tranne che all'automobile. Perciò, giocoforza, le imprese si stanno attrezzando per andare all'estero, meglio se in una logica di filiera, per fare massa critica» I risultati non mancano. Basti pensare alle società di progettazioni e ingegneristica del Made in Italy, che oggi secondo dati della Banca Mondiale si aggiudicano il 5% dei contratti globali. Fino a dieci anni fa la fetta di appalti guadagnati dalle aziende tricolori era pari allo 0,5%.

«La crisi morde ancora dice Braccio Oddi Baglioni presidente di Oice, l'associazione che riunisce le società di ingegneria e architettura. L'impressione è che non abbiamo ancora toccato il fondo. Il portafoglio ordini è in discesa del 25%. Le aziende hanno problemi di liquidità. I pagamenti arrivano dopo un anno dai lavori. E anche quando arriva la commessa a molti tocca rinunciare per mancanza di risorse». Anche l'Oice spinge sull'acceleratore dei mercati esteri. «Oltre frontiera, a parte qualche paese in crisi, non abbiamo perso terreno. Anzi in molti casi, l'export ha tenuto a galla i bilanci. Questo vale soprattutto per le grandi aziende, i general contractor che viaggiano da tempo su un export del 60% del fatturato».Per le Pmi l'Oice ha lanciato una strategia di internazionalizzazione che prevede la progressiva apertura di antenne nelle grandi capitali europee e non solo. «Bene la crescita oltre confine. Ma non possiamo imporci traguardi impossibili, superiori al 70,80%. Bisogna stimolare la domanda anche in Italia». Sul banco degli imputati c'è il patto di stabilità che, secondo gli imprenditori, imbriglia i Comuni per investimenti infrastrutturali. E poi i ritardi del governo nello sbloccare i lavori delle piccole e medie opere.

Dei piani approvati a giugno 2009, stima l'Ance, per un valore di circa 2 miliardi di euro, solo il 44% dei fondi sarebbe sulla rampa di lancio. Uno scenario assai critico che si traduce, in termini di investimenti, in un ritorno indietro di almeno dieci anni. Luca Turri è ai vertici di Ucomesa, unione dei costruttori di macchine movimento terra, parte della famiglia di AnimaConfindustria. Per conto di Federcostruzioni l'imprenditore ha la delega all'internazionalizzazione. «Meno male che c'è il Nord Africa. Lo scorso anno tante imprese hanno tenuto grazie ai progetti sull'altra sponda del mediterraneo. Il settore della movimentazione terra è abituato da anni a lavorare fuori Italia. La percentuale di export è superiore aI 70%. Ma non basta. Oggi ci vuole fiuto. Bisogna lanciarsi in Paesi emergenti come il Brasile, ricchi di commodities che presto richiameranno grandi investimenti». Numeri poco rassicuranti per le imprese del legno, legate a doppio filo alle costruzioni. Dice Rosario Messina, presidente di Federlegno: «L'export è crollato del 40%, mentre le vendite in Italia hanno perso il 15%. Usare la parola crisi per definire quello che è successo è un eufemismo. Nel nostro paese si pensa di poter risolvere i problemi solo con gli ammortizzatori. Ma si tratta di puro ossigeno per un malato grave. Avanti così assisteremo a una moria di imprese».

Christian Benna (Affari & Finanza - La Repubblica)