Il cemento s'è dimezzato, i big puntano sull'estero, agli altri restano solo i tagli
Da Caltagirone a Buzzi i cementieri rilanciano all'estero
Trieste, 23 settembre 2013 - Se il crollo era già da tanti anni avvenuto in altri paesi maturi quali Spagna e Francia, come non attenderselo pure per l'Italia? I numeri ante crisi non erano forse esagerati per un paese che certo non poteva essere più definito in via di sviluppo? Se i valori della produzione di cemento nel Belpaese al 2007 si erano attestati alla soglia di 47 milioni di tonnellate, lo scorso anno il dato è precipitato a 26,2 milioni e le proiezioni del primo semestre 2013 promettono di bucare il livello 20 milioni. Cifre che non apparivano dalla fine degli anni '60 dell'altro secolo.
"Ce lo aspettavamo, certo era difficile calcolare la portata dello smottamento", osserva Lorenzo Speziali, la cui famiglia controlla il gruppo Calme, tipico esponente di un settore egemonizzato da 4-5 big e poi frammentato in una miriade di produttori medi e piccoli, spesso al servizio di mercati regionali. Il costo della logistica e dei trasporti, difatti, è talmente significativo che il sacco di cemento non va di norma oltre i 100 chilometri dal luogo di produzione. Il che preclude pure la possibilità di compensare con le esportazioni, cresciute dell'8,8% nel 2012, che rappresentano appena il 6,6% della produzione.
E il futuro cosa potrebbe riservare? "Non prevediamo un miglioramento del mercato nazionale per i prossimi 24 mesi", risponde Francesco Caltagirone jr, presidente di Cementir. Il sisma ha proporzioni impressionanti, ma i suoi effetti di lungo periodo sono conclamati da poco tempo. Sono materia degli ultimi mesi, infatti, i piani di ristrutturazione esposti dai maggiori operatori, con le connesse riduzioni delle fabbriche e del numero dei dipendenti.
Il settore vale oggi circa 2,3 miliardi di fatturato aggregato, con 28 aziende proprietarie di 80 cementerie in cui sono occupati direttamente 10mila lavoratori (altrettanti ne vanno considerati nella filiera che va dalla cava al trasporto del cemento insaccato). Numeri destinati al ridimensionamento, salvo che il governo inneschi un piano per l'edilizia abitativa e metta soldi veri sulla lista delle infrastrutture.
Se la questione clou si chiama sovracapacità produttiva, non sorprende che Giovanni Battista Ferrano, direttore generale di Italcementi - che copre un quarto del mercato italiano - abbia annunciato con il piano "Progetto 2015" che "sono previsti 110 milioni di efficienze, in gran parte in Italia, dove gli stabilimenti saranno ridotti da 17 a 8 unità". Il programma prevede anche importanti investimenti in tecnologie, come è il caso del sito bresciano di Rezzato (al quale saranno dedicati 150 milioni), che viene dopo i revamping attuati per le cementerie di Calusco (Bergamo) e Matera. Il senso è semplice: meno siti produttivi, ma tecnologicamente all'avanguardia per efficienza e qualità del prodotto. In parallelo va il ricorso alla cassa integrazione per circa 700 dipendenti, ossia oltre un quarto del totale.
Nel gennaio scorso pure Holcim, che fa capo a una multinazionale svizzera, ha messo sul tavolo il proprio piano di ristrutturazione per 180 dipendenti e Cementir dopo la procedura di mobilità per 70 persone attivata nel 2012 ne ha aperta un'altra nel giugno scorso per ulteriori 144 esuberi.
E che fanno i piccoli e medi produttori? "Non possiamo che lavorare a regime ridotto, attuando una severa riduzione dei costi e del personale - commenta Speziali - Il settore va verso una drastica razionalizzazione, non so se con aggregazioni tra i piccoli e acquisizioni da parte dei grandi. Ma penso avverrà la chiusura degli impianti più obsoleti, mentre invece gli stabilimenti di macinazione più vicini alla costa, ai quali appoggiare l'importazione della materia prima, potranno manifestare flessibilità, efficienza e redditività". Non per caso Speziali marca la questione dei siti produttivi vicini alla costa e dunque a porti di sbarco, dato che Calme afferma di avere avuto particolare beneficio dall'apertura nel 2009 della nuova cementeria di Melilli (Siracusa), a breve distanza dallo scalo industriale di Augusta.
Allo stesso modo, Cementir ritiene tuttora strategici i siti di Genova e Civitavecchia.Se l'Italia rimane il secondo paese produttore e consumatore di cemento su scala europea dopo la Germania, è tuttavia troppo piccolo. Tant'è che da oltre un decennio i big hanno intrapreso una decisa strategia di internazionalizzazione, tale per cui la quota realizzata in madrepatria è ormai ridotta a una parte assolutamente minoritaria del giro d'affari complessivo.
Delle strategie parlano i numeri dei tre gruppi quotati. Italcementi è in quinta posizione nel ranking mondiale. Buzzi è secondo in Italia e Germania, quinto negli Usa, quarto in Messico. Cementir dispone di stabilimenti situati in 16 paesi. Ma anche tra i non quotati e interamente a controllo familiare, come la Colacem degli umbri Colaiacovo, il tema della presenza nei mercati trainanti è fondamentale e dunque ecco gli impianti in Tunisia, Repubblica Dominicana, Canada, Albania, Spagna, Giamaica. Un caso di scuola consiste in Cementir, che dal 2001 ha investito oltre un miliardo di euro in acquisizioni all'estero, tali da consentire una crescita del 400% del giro d'affari, soprattutto tramite le controllate Aalborg (Danimarca) e Cimentas (Turchia). L'azienda danese ha portato in dote, tra l'altro, la leadership mondiale nella produzione di cemento bianco, con impianti in Australia, Stati Uniti e Cina.
I differenti assetti produttivi, organizzativi, di mercato hanno riverberi sul conto economico dei tre big quotati: i valori consolidati del primo semestre 2013 assegnano a Cementir ricavi per 472,4 milioni, 62 milioni di Ebitda, 17,7 milioni di Ebit e un risultato netto di 7,4 milioni. I medesimi parametri valgono per Buzzi Unicem rispettivamente 1,273 miliardi, poi 150,7 milioni, 37,7 milioni e una perdita di 26,6 milioni. Quanto a Italcementi i dati consistono invece in 2,156 miliardi, 298,6 milioni, 77,4 milioni di Ebit e infine una perdita di 43,3 milioni.
E il futuro prossimo? "Già oggi l'88% del nostro fatturato ha matrice internazionale e crescerà ulteriormente, perché abbiamo sia i mezzi che le competenze per crescere", sostiene Francesco Caltagirone jr. Che è come dire di voler procedere con acquisizioni su scala globale, perché il cemento serve a costruire e l'Italia è su opposti fronti impegnata.