Il collasso del trasporto pubblico
In rosso 4 aziende su 10, passeggeri giù del 16 per cento e crescono i «senza biglietto»
Roma, 29 luglio 2013 – Le società del trasporto pubblico locale sono sull'orlo del precipizio. Dal 2010 hanno perso mezzo miliardo all'anno di finanziamenti, e ormai molte di loro sono al limite della sopravvivenza, con bilanci dissestati, debiti da appianare, servizi a singhiozzo, carrozzoni di personale difficile da ricollocare, indagini giudiziarie che le lambiscono o le travolgono. Tre società sono già fallite, in Campania. E l'Atac, l'azienda controllata dal Comune di Roma, travolta da 744 milioni di debiti, e con alle spalle uno scandalo con 8 indagati per 49 assunzioni sospette, ha il 40% degli autobus fermi. Ma una mossa devono darsela anche tutti gli altri.
Le Regioni dovranno presentare entro ottobre un piano di riprogrammazione dei trasporti. Se non raggiungeranno obiettivi precisi, dal 2014 scatteranno le penalità: dalla quota che spetta a ciascuna Regione nel Fondo unico trasporti verrà sottratto un 10%, 500 milioni per il 2013. Un'altra batosta per le 800 aziende - 177 pubbliche e oltre 600 private - del settore, che ormai hanno «problemi significativi di bilancio e gestionale», come ha sottolineato mercoledì scorso Sergio Vetrella, coordinatore della conferenza delle Regioni, in audizione alla Camera.
Rispetto al fabbisogno di 6,4 miliardi di euro, la dotazione del Fondo nazionale per il Tpl è di 4,9 miliardi di euro. Rimane scoperta una quota di 1,5 miliardi, che le Regioni possono compensare in due modi. La prima strada è il fondo perequativo Irap, alimentato dalle accise sulla benzina. Col paradosso che le Regioni più virtuose, dove gli autobus funzionano meglio e quindi si consuma meno benzina, sono quelle con il fondo meno ricco. La seconda possibilità è l'integrazione delle Regioni: ma nel 2013 molte non ce l'hanno fatta e ci sono stati tagli con punte del 30% nel Lazio, di oltre il 27% in Campania e in Molise e di circa il 15% in Liguria, Toscana e Veneto.
I nodi vengono al pettine
«Il trasporto pubblico locale è in ginocchio: il 41% delle aziende ha i conti in rosso, rispetto al 32% del 2009, e il trend è in continuo aumento», sottolinea Marcello Panettoni, il presidente di Asstra, che raccoglie le società pubbliche di Tpl, quelle che garantiscono il 95% del trasporto urbano ed il 75% del trasporto regionale e extraurbano. E allora si taglia il personale, che rappresenta il 60% dei costi (-2,46% la forza lavoro), si alzano i costi dei biglietti (+10,5%), crollano i passeggeri (-16%), e peggiora il servizio: con autobus vecchi in media 12 anni, costi più alti di manutenzione e crollo degli investimenti (da oltre 2,3 miliardi nel periodo 97-2001 ai 110 milioni del periodo 2012-2015), le nostre grandi città sono ultime in Europa. La crisi non aiuta: gli evasori, nella media nazionale al 19%, raggiungono picchi a Napoli (33%) e Palermo (50%). Senza dimenticare lo stallo sul contratto di lavoro, scaduto sei anni fa: le trattative si trascinano, di sciopero in sciopero.
Relazioni complicate
Quando il regolatore è il regolato, le cose si complicano. I Comuni assegnano le risorse alle aziende di trasporto, ma sono anche coloro che fanno i bandi di gara e al contempo controllano l'azienda di trasporto pubblico locale. L'Autorità dei trasporti appena istituita dovrebbe mettere fine a questi piccoli monopoli locali che, secondo una stima, comportano due miliardi di euro di costi aggiuntivi per il Tpl. Intanto, però, il Paese è pieno di situazioni ambigue.
Nel Comune di Potenza il servizio è gestito da Cotrab, il Consorzio trasporti aziende Basilicata. Il consorzio è in carica dal 2005: doveva trattarsi di una soluzione temporanea, ma il Comune ha prorogato il contratto di servizio fino a che non sarà in grado di definire una gara pluriennale. L'iter non si è ancora concluso, e di anno in anno Cotrab, che conta 80 lavoratori a tempo indeterminato, assume 150 interinali per far fronte al lavoro. «Tutti i contratti dovranno essere adeguati ai costi standard, quindi non possiamo fare una gara che rischia di essere invalidata il giorno dopo», fanno sapere da SAT, la società controllata al 51% dal Comune a cui il Comune stesso ha affidato la mobilità. Ma intanto fioccano le polemiche: «Cotrab è un esempio di clientelismo: spende 14 milioni di euro all'anno e il Comune paga i compensi con fatture a piè di lista, per un servizio di scarsissima qualità», dice il segretario provinciale di Faisa Cisal, Donato Colangelo. «Questa denuncia risente di vicende personali - minimizza il sindaco di Potenza Vito Santarsiero -. Paghiamo tanto perché le scale mobili sono gratuite».
Sta invece ancora cercando di districare la situazione Giuseppe Modica, che da qualche mese è stato chiamato a gestire la gatta da pelare dell'Amat, la società di Tpl di Palermo, che nonostante un contratto di servizio di oltre 51 milioni col Comune, ha 9 milioni e mezzo di passivo, utenti infuriati, autobus di dieci anni e un fardello di 1800 lavoratori: «È chiaro che il personale in una struttura pubblica nasce nel corso degli anni con le più varie procedure e motivazioni», dice rammaricato. L'Amat è stata gestita in maniera clientelare? «Probabilmente certe cose si potevano fare in maniera diversa, le aziende pubbliche scontano il peccato originale. Ma la chiave adesso è riorganizzare, soprattutto l'officina», conclude armato di buona volontà.
La stessa che tocca sfoderare a Vincenzo Fidardo, il direttore dell'Atam di Reggio Calabria che sta cercando di risollevare le sorti dell'azienda - l'ultimo bilancio è in perdita di oltre un milione e mezzo - con ampi ricorsi alla cassa integrazione a rotazione per i 350 dipendenti, dopo che l'ex amministratore unico Demetrio Arena l'ha lasciata nei debiti per andare a fare il sindaco della città: scelta infelice, visto che il consiglio comunale è stato commissariato a ottobre 2012, sotto la sua gestione, per contiguità mafiosa.
Meglio privatizzare?
Tre milioni e 900 mila euro abbondanti di utile, frutto della vendita dei bus che per contratto vengono ogni anno sostituiti con altri nuovi di zecca. E i soci che percepiranno un sostanzioso dividendo, di 110 euro per azione. Trieste trasporti (al 60,06% dell'Amt, la srl controllata dal Comune di Trieste in liquidazione) è una storia di successo? Ni. I sindacati si chiedono: «Perché la società distribuisce gli utili e non colma invece con questi i tagli alle corse, salvando i 35 esuberi di personale?». «Non si può - rispondono all'unisono azienda e Comune - quei soldi servono al Comune per raggiungere il pareggio di bilancio».
Il pareggio, eccolo il richiamo che spinge verso i privati: anche il Comune di Torino ci sta provando. Ma tra una discussione con la maggioranza e un rimpasto di giunta, le procedure per mettere in vendita il 49% del ramo trasporto di GTT si sono arenate. E forse è tardi per chiudere entro l'anno e incassare quei 70-80 milioni utili a mettere in sicurezza i conti della città. La società è in attivo, nonostante il taglio delle risorse (-13,6 milioni) e la crescita dei costi (+21,5 milioni). Forse i conti tornano anche grazie all'efficienza forzata dei suoi autisti? Viene da chiederselo, visto che l'ex amministratore delegato di GTT è indagato perché, secondo i sindacati, avrebbe sanzionato i dipendenti sulla base di filmati del sistema di sicurezza.
I ritocchi
Sulla spinta dell'emergenza, negli ultimi due anni i biglietti sono aumentati a Roma, Milano, Torino, Trieste. Ma anche a Napoli, Bari, Genova, Reggio Calabria, Venezia, ci sono stati ritocchini all'insù, dai dieci ai venti centesimi. E ce ne potrebbero essere altri. A Milano, dove l'Atm gestisce un colosso da oltre 9 mila dipendenti, un milione di viaggiatori, e un contratto di servizio col Comune da 700 milioni, si sta pensando di aumentare l'abbonamento mensile, che è fermo da 12 anni a 30 euro al mese. E a chi rileva che non ce n'è bisogno, visto che l'azienda chiude dal 2001 il bilancio in attivo, l'Atm replica di aver dovuto sopportare sacrifici duri sui costi. Anche a Bologna stanno tentando di ritoccare il biglietto, da 1,20 a 1,30, mentre si annuncia un taglio delle corse: una scelta che sta sollevando il polverone contro la TPER, la partecipata di Regione, Comune e Provincia, nata il 1 febbraio 2012 dalla fusione della divisione trasporti di Atc con Ferrovie Emilia Romagna. Ma è probabile che la manovra passerà indenne, visti i conti dell'azienda, che ha chiuso il 2012 con una perdita di 8,9 milioni di euro, e soprattutto l'ambizione di diventare un gestore unico regionale. Come in Umbria, la sola ad aver accorpato il servizio, evitando la dispendiosa frammentazione: l'88% delle aziende ha meno di 100 dipendenti.
L'equilibrio dei conti
C'è chi invece, per risparmiare, sceglie di tagliare. Come l'Amt di Genova, che sta usando cassa integrazione e contratti di solidarietà per i suoi 2300 lavoratori per provare a mantenere il delicatissimo punto di equilibrio. «Che al più piccolo stormir di fronde può crollare - l'ad Livio Ravera - Abbiamo un capitale sociale di appena 12 milioni con un contratto di servizio di 23 milioni per la parte comunale e 67 per quella regionale». Anche l'Amtab di Bari, che deve ancora chiudere il bilancio 2012, se la caverà a fatica con qualche decina di migliaia di utili. «Stiamo tagliando sulle lavorazioni esterne, sulla manutenzione, sulle riparazioni, sulle consulenze, sulle assicurazioni», dice il presidente Tobia Binetti. Tempo di risparmi anche ad Actv, la spa del Comune di Venezia: riportare gli autobus nelle officine interne e far lavorare anche gli autisti inidonei sono due degli strumenti della spending review che solo nel 2012 ha portato a 6,7 milioni di risparmi, e che dovrebbe far tornare i conti dell'azienda (in perdita quest'anno di 17 milioni) in pareggio entro il 2016. Ataf, la società che opera a Firenze, sta sforbiciando senza pietà: alla pubblicazione della gara, nella primavera del 2012, che ha assegnato la società a una cordata composta al 70% da Busitalia Sita Nord (Ferrovie dello Stato italiane) e per la rimanente quota a due operatori privati (25% CAP di Prato e 5% Autoguidovie di Milano), i dipendenti erano 1250. Oggi sono 1100. Secondo il piano industriale, dovranno diventare 1000. Ma i sindacati borbottano. E ricordano la buonuscita che l'azienda di trasporti ha dato ad alcuni ex dirigenti tra il 2001 e il 2008, vicenda sulla quale indaga la Guardia di finanza. Il danno erariale ammonterebbe a oltre un milione di euro.