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Briciole di pane

Il gap infrastrutturale e la sua percezione

Spunti di riflessione dal check-up dell'ISTAT sulle imprese italiane

Roma, 16 dicembre 2013 - E’ una miniera d’informazioni il 9° Censimento generale dell’Industria e dei Servizi ISTAT. Offre, infatti, strumenti di conoscenza utili a comprendere una realtà complessa. Che è un passo indispensabile per individuare gli interventi, o le linee d’azione, in grado di incidere sulla realtà stessa. Merito delle numerose innovazioni di metodo utilizzate dall’Istituto di Statistica. Si è proceduto, per la prima volta in Italia, a un censimento basato su dati amministrativi e integrato da una rilevazione campionaria di notevolissime dimensioni. Insomma, più che un’operazione censuaria, è stato effettuato un “Check-up delle imprese italiane” (questo il titolo del Convegno di presentazione dei relativi risultati, svoltosi a Milano il 28 novembre scorso). Il tessuto economico-produttivo del nostro Paese, nel quale, com’è risaputo, sono preponderanti le piccole e medie imprese, è stato scandagliato a un livello di profondità mai tentato prima.
L’universo di riferimento della rilevazione ha coinciso con il totale delle aziende aventi un minimo di strutturazione (quelle con almeno tre addetti): quasi 1,1 milioni di imprese, che assorbono circa 12,5 milioni di lavoratori. Questo ha consentito di completare il quadro informativo del censimento, derivante dai registri statistici fondati su dati amministrativi, con dati in prevalenza qualitativi sui fattori specifici e di contesto da cui dipendono le strategie aziendali. Con un risultato che è assai più di un sondaggio, sia pure ben fatto; è una mappatura integrale, e “scientifica”, degli elementi di forza e di debolezza del sistema delle imprese.
Il sito web dell’ISTAT riporta, con dovizia di commenti, tutto il materiale (http://censimentoindustriaeservizi.istat.it). Per chi si occupa di mobilità, trasporti e logistica, un punto si rivela particolarmente interessante: la sintesi di quali siano, oggi, le “valutazioni delle imprese sugli ostacoli alla competitività”. In questa sorta di “classifica degli ostacoli percepiti”, viene al primo posto la mancanza di risorse finanziarie: 40,4% delle imprese; seguono: la scarsità o mancanza di domanda (36,8%), gli oneri amministrativi e burocratici (34,5%), il contesto socio-ambientale sfavorevole (23,2%). Vengono, invece, percepite come meno gravi la carenza di infrastrutture, la mancanza di risorse qualificate e la difficoltà nel reperire personale o fornitori.
Si tratta di un dato stimolante, perché indica un lavoro, prima di tutto “culturale”, da compiere, e per il quale un utile apporto può provenire anche da Testate giornalistiche come questa. E’ ancora troppo bassa la diffusione della consapevolezza di quanto le infrastrutture, se non altro quelle che servono a eliminare i molti colli di bottiglia o a promuovere l’intermodalità, siano funzionali allo sviluppo e alla crescita. Affrontare il quinto ostacolo (carenza di infrastrutture) significa, automaticamente, dare un contributo decisivo al superamento anche del secondo (la domanda che latita) e del quarto (il contesto socio-ambientale refrattario).
Spesso si insiste, e a ragione, sulla necessità che sia lo Stato, o comunque l’istituzione pubblica, a “dare la cosa giusta”. Ma vale pure il reciproco: il mondo imprenditoriale, con i mille canali che gli sono propri, deve sapere “chiedere la cosa giusta”. Che, nel nostro caso, è l’intervento infrastrutturale migliorativo della mobilità di persone e merci.

Carlo Sgandurra