India, infrastrutture per 300 miliardi di euro entro il 2012
Un piano di rilancio dell'intera rete infrastrutturale con prospettive di business interessanti per l'Italia

Milano, 19 gennaio 2010 - «Quello che mi domando è cosa ci facciamo nel 2010 in Senegal". Cesare Saccani, il managing director di Icmq India, non ha nulla contro quei paesi africani dove da anni operano le imprese italiane delle costruzioni. Però proprio non riesce a capire come mai, fino a oggi, molte di queste società abbiano resistito alla tentazione di investire in India, dove non c'è settore - dagli aeroporti alle strade, dai porti alle metropolitane fino agli ospedali e l'edilizia residenziale - che non stia per invesitire cifre da capogiro. Un piano di rilancio dell'intera rete infrastrutturale indiana che non ha ancora attirato l'attenzione di un settore fortemente internazionalizzato come quello delle costruzioni, capace di realizzare all'estero circa il 50% del proprio fatturato. Con un'anomalia lampante: tre quarti delle commesse continuano a provenire da Africa e Sudamerica. E solo l'1,4% dal continente asiatico. E anche per comprendere meglio le ragioni di una prudenza che sembra sconfinare nello strabismo che Icmq ha organizzato ieri a Milano un seminario sulle potenzialità del mercato indiano. Secondo Saccani l’India è un Paese decisamente interessante. «Quello che intendo dire - spiega - è che l'India è un paese con un diritto di derivazione anglosassone, normative tecniche non troppo dissimili da quelle europee e in cui è normale trovare soci e personale che parlano inglese. Se sommiamo tutti questi elementi alle dimensioni, alle prospettive di crescita e al fatto che il paese non soffre del dirigismo che invece c'è in Cina, sembra che venire qui significhi davvero partecipare ad una nuova corsa all'oro. Nel senso che chi ha le spalle larghe e non ha paura di investire sul medio-lungo periodo, ha davvero prospettive di business interessanti». Entro la fine dell'anno fiscale 2011-2012 in India sono in programma flussi per 300 miliardi di euro verso strade, ferrovie, sistemi di irrigazione e aeroporti. Pur tenendo conto del fatto che tra i budget allocati e la spesa effettiva continuano a esserci discrepanze non trascurabili, le possibilità di capitalizzare su un piano di sviluppo così ambizioso restano elevate. Soprattutto per chi è in grado di esportare competenze e best practices, perché, come sa bene chi conosce la realtà indiana, la quantità di progetti in corso talvolta è inversamente proporzionale alla qualità con cui vengono eseguiti. «Credo che per le società italiane del settore delle costruzioni sia giunto il momento di avere una presenza in India, possibilmente attraverso delle joint venture con altre aziende straniere in grado di fornire un know-how complementare rispetto al proprio», spiega R. Anand, presidente della Eastern Engineering Company di Mumbai. «Per rendersi conto delle prospettive - prosegue - a volte è sufficiente leggere i giornali: lo scorso venerdì su un quotidiano c'era il ministro delle autostrade Kamal Nath' che annunciava di voler usare il cemento al posto del bitume in una serie di nuovi progetti; su un altro c'era Vijay Mallya (il miliardario della Kingfisher) che lanciava un nuovo progetto residenziale di lusso nel cuore di Bangalore. Quello che serve agli investitori esteri sono persone che tengano gli occhi aperti, riferiscano al propri vertici e aiutino a mettere a punto una strategia».