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Briciole di pane

Infrastrutture, rapporto sui costi del non fare: disattendere gli impegni costa 470 miliardi

Roma, 27 novembre 2012  - Il settimo rapporto dell’Osservatorio "I Costi del Non Fare", che viene presentato oggi a Palazzo Marini a Roma, cade in una fase complessa e delicata del Paese e dell’intero continente europeo. La necessità di rientro dal debito si accompagna con la recessione, con tassi di interesse crescenti, con la fuga degli investitori internazionali verso mercati con maggiori potenziali di crescita. Il risultato è che si contraggono fortemente le risorse finanziarie disponibili per gli investimenti in infrastrutture. Ed è in tale condizione che si trovano a operare imprese e amministrazioni pubbliche, molte delle quali, tra l’altro, virtualmente fallite.
Oggi ci rendiamo conto che i grandi progetti, pensati in un contesto di disponibilità illimitate, o rimangono al palo o, se avviati, hanno serie difficoltà a proseguire, rischiando addirittura di entrare nella lunga lista delle opere incompiute.

Ma il nostro Paese ha ancora forti esigenze infrastrutturali. Nello Studio stimiamo con un certo dettaglio i Costi del Non Fare in vari settori fondamentali per l’economia, che ammontano alla cifre mostruosa di 470 miliardi di euro da qui al 2027. Ma, al di là delle valorizzazioni puntuali, basate su assunzioni ragionevoli, ma pure discutibili e perfettibili, ci sembra che emergano comunque fabbisogni significativi per investimenti che sono in grado di generare benefici netti per la popolazione. Per potere realizzare veramente tali investimenti crediamo - nell’interesse del Paese ma anche in quello delle imprese che operano in questi settori - che sui punti di seguito elencati si debba drasticamente cambiare rotta lungo un percorso che il Governo Berlusconi aveva timidamente iniziato e che quello Monti ha proseguito con più decisione.

1) Le scelte infrastrutturali in un’ottica di strategia complessiva del Paese. La realizzazione delle infra- strutture non costituisce il fine in sé, ma è funzionale a politiche nazionali ed europee più ampie e pervasive che spesso non sono chiaramente messe a fuoco. Va meglio delineata la strategia-Paese nei settori in questione, dimostrandone la rilevanza economico-sociale anche in una prospettiva di competizione tra nazioni e continenti. Ciò è fondamentale altresì per la fissazione delle priorità.

2) Criteri e metodiche razionali di definizione delle priorità. Troppo raramente si sono sviluppate attente analisi costi/benefici per la collettività di singole iniziative che hanno condotto alla realizzazione di opere chiaramente inutili con ampie dispersioni di risorse. Ciò non deve essere più consentito; nessuno crede in una capacità taumaturgica di metodi quali la Cost Benefit Analysis, ma ognuno deve rendersi conto che tali strumenti sono fondamentali per il sistema politico per prendere le decisioni finali in una prospettiva di maggiore razionalità.

3) Sviluppare confronti intersettoriali. In quale comparto è meglio indirizzare le poche risorse pubbliche? Energia, autostrade, treni, idrico, rifiuti o banda larga? Dove si generano i maggiori benefici per il Paese? Anche questo tema è fondamentale in un contesto di crisi e costituisce, forse, una delle attività principali della politica nella accezione alta del termine.

4) Grande impegno per la sobrietà nella progettazione. Il tema è già stato sollevato, ma va fortemente enfatizzato: appare necessario sviluppare soluzioni e tecnologie che consentano una radicale riduzione dei costi, talvolta anche rinunciando a qualche modesto beneficio. Accanto ad alcune soluzioni legislative introdotte dal Governo Monti, e ad altre che potrebbero essere adottate sia a livello nazionale che regionale, è fondamentale un patto con il sistema industriale e produttivo affinché questo si impegni in direzioni che, alla fine dei conti, sono nel suo stesso interesse.

5) Ridurre e razionalizzare i processi di autorizzazione e realizzazione. Una componente di costo non irrilevante per le imprese risiede proprio nei processi autorizzativi e nella loro natura ondivaga e fortemente incerta. Deve essere parte del patto con le imprese per la riduzione dei costi anche una forte azione su questi aspetti che però non rinunci, anzi aumenti, la ragionevolezza nelle decisioni. Paradossalmente, appare possibile perseguire contestualmente entrambi gli obiettivi con iter chiaramente strutturati e che lascino pochissimo spazio alla reiterazione delle decisioni. Analogo patto con le imprese deve riguardare la necessità di non rimettere in discussione, una volta avviati i lavori, le soluzioni progettuali validate e i quadri economici approvati. Talvolta, infatti, al fine di massimizzare i guadagni si utilizzano anche stru- mentalmente gli spazi dati dalla copiosa e, purtroppo, farraginosa normativa in tema di lavori pubblici.

6) Privilegiare meno il ferro e il cemento e aumentare l’“intelligenza” contenuta nelle scelte infrastrutturali. Non ce ne vogliano i produttori di ferro e cemento, di cui avremo comunque ampio bisogno negli anni a venire, ma è necessario aumentare significativamente l’“intelligenza” contenuta nelle infrastrutture. Gli esempi si stanno moltiplicando: dalle Smart Grids alle Smart Cities; dalle autostrade intelligenti ai pali della luce con un cervello; si innesta qui il tema della mobilità sostenibile e innovativa che tra l’altro necessita di potenziamenti/integrazioni dei sistemi di gestione dei flussi di traffico di passeggeri e merci. Appare necessario che anche i produttori e i gestori delle infrastrutture si adoperino per contribuire in tal senso, alcuni lo stanno già facendo.

7) Avviare un forte processo di de-infrastrutturazione. È evidente che certe infrastrutture sono sovrabbondanti e generano extra-costi di gestione oltre che squilibri nel sistema, poiché sono tenute in vita con continuative coperture delle perdite. Bisogna superare le resistenze in un disegno di razionalizzazione. Il Governo Monti ha avviato il processo, ad esempio con il sistema aeroportuale, e il prossimo Governo dovrà proseguire.

8) Sviluppare il tema del consenso delle popolazioni. Esso va inteso come insieme di strumenti di coinvolgimento per accrescere l’accettazione consapevole delle infrastrutture utili alla collettività, perché portatrici di reali benefici. Ciò apre al tema del Dibattito Pubblico, che va affrontato con serietà dando spazio a soluzioni gestite da soggetti terzi, autorevoli e indipendenti. Importante è anche una riflessione sul ruolo della stampa che, seguendo suoi legittimi obiettivi, spesso enfatizza più gli elementi di dissenso che quelli di consenso.

Su tutto questo sarebbe utile avviare un dibattito, che potremmo intitolare “Quali infrastrutture per il futuro?”, che si ponga in una prospettiva anche internazionale, e che affronti il tema di cosa voglia dire fare infrastrutture nei prossimi 10/20 anni. Un dibattito aperto a tutte le componenti del sistema sociale e politico nella speranza di dare un contributo ai Governi nazionale e regionali che verranno.