L'autotrasporto italiano visto da Oltralpe
Produttività e dinamismo caratterizzano i nostri vettori. Ma i costi rimangono tra i più alti in Europa

Può essere un buon esercizio guardare le cose – le “solite” cose: le nostrane condizioni trasportistiche – da un punto di vista esterno. Anche per trovare conferme, o smentite, ai nodi maggiormente investiti dal dibattito interno.
Gli studi del CNR (Comité National Routier) rappresentano sicuramente un osservatorio pregevole. Il CNR è un organismo tecnico afferente al Ministero dei Trasporti francese, focalizzato sull’autotrasporto merci; ha compiti di studio, ricerca ed eventuale definizione di strumenti gestionali utili agli autotrasportatori; i suoi lavori vengono riconosciuti come imparziali e autorevoli da tutti gli operatori economici transalpini, committenza inclusa. Da tempo, il CNR dedica delle monografie al trasporto merci stradale negli altri Paesi europei. L’ultima, datata fine luglio, è sull’Italia: si può leggere sul sito www.cnr.fr, con un abstract anche in lingua inglese.
Quello che ne emerge, è un quadro a luci e ombre. Viene riconosciuta (e tra le righe invidiata) la forte vocazione all’export della manifattura italiana. Rispetto a un tale contesto, però, l’autotrasporto italiano viene descritto come animato da forze contrastanti: da un lato grandi imprese che hanno saputo specializzarsi nei servizi logistici o nei mercati di nicchia, dall’altro aziende medio-piccole in sofferenza per la spinta concorrenziale dei Paesi dell’Est, le quali cercano, per lo più, di aprire delle filiali proprio in tali Paesi, monetizzando il costo inferiore degli autisti. Resterebbero i “Padroncini” (il testo francese li chiama proprio così, “Padroncini” tra virgolette e con la maiuscola): a costoro il trasporto internazionale è ormai di fatto precluso; dovrebbero, in teoria, poter trovare un’ottimale collocazione nel mercato interno italiano, ma c’è da fare i conti con il cabotaggio praticato da ditte estere geograficamente vicine (slovene, croate, ungheresi, persino rumene). In effetti, nel complesso, l’Italia subisce tre volte più cabotaggio di quanto ne faccia.
Note – per noi – dolenti sono quelle sui costi. La spesa aziendale per un autista italiano è superiore a 55.000 euro l’anno; comparativamente, il costo del conducente risulta maggiore del 16% rispetto a quello di un autista francese mentre, rispetto a un lavoratore dell’Est Europa, il confronto appare addirittura improponibile. Anche il carburante in Italia presenta un costo assai significativo (43.347 €/anno per un veicolo di 40 t.), principalmente per tre ragioni: la percorrenza annua (135.540 km/anno), il costo unitario del carburante al netto del rimborso parziale delle accise (0,919 €/litro, più alto della Francia) e le caratteristiche orografiche del Paese che si ripercuotono negativamente sui consumi (circa 34,8 litri/100 km rispetto a 31,5 litri/100 km in Francia).
A un livello più generale, lo studio francese non manca di sottolineare lo squilibrio modale che caratterizza il sistema-Italia, con forte prevalenza del trasporto su gomma. Dà atto, tuttavia, degli sforzi finora implementati dallo Stato italiano per tentare un riequilibrio, segnatamente attraverso gli strumenti del “Ferrobonus” e “Marebonus”.