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Briciole di pane

L'Europa cerca di uscire dalla spirale

Il vertice informale dei 27 capi di governo tenutosi a Bruxelles il 23 maggio ha mostrato che all'interno della UE non c'è accordo sulle cose da fare

Roma, 25 maggio 2012 – Caricato di troppe aspettative e iniziato sotto cattivi auspici (ennesima giornata nera per le Borse europee), il vertice informale dei 27 capi di governo UE tenutosi a Bruxelles nella serata del 23 maggio,  ha mostrato che all’interno della UE si parlano troppe lingue e non c’è accordo sulle cose da fare. I mercati avevano già decretato il fallimento del vertice prima che questo iniziasse. Il vertice non era chiamato a prendere decisioni, ma esprimere con chiarezza idee e proposte per far ripartire la crescita e l’occupazione, senza l’ansia della fretta e dell’ufficialità. Purtroppo gran parte dell’incontro è stato focalizzato sulla Grecia e la crisi di liquidità delle banche spagnole, che dipendono in gran parte da decisioni interne cioè l’esito delle elezioni greche del 17 giugno e dalla  volontà del governo di Madrid di ricorrere all’European Stability Mechanism (ESM) per ricapitalizzare le banche spagnole in affanno.
Il presidente della Commissione Barroso e quello del Consiglio europeo Van Rompuy hanno spiegato che l’Unione vuole che la Grecia rimanga nell’euro e hanno annunciato lo sblocco di fondi strutturali per 15 mld di E per stimolare la crescita. Ma l’Unione non transige sulla rinegoziazione del programma di riforme e tagli già concordati da parte di un nuovo governo greco. I fondi stanziati per la Grecia (130 mld di E) arriveranno solo se il Governo rispetta gli accordi sottoscritti.
L’indecisione del governo spagnolo di Rajoy nel chiedere l’intervento del ESM e la pretesa che vi sia un nuova iniezione di liquidità della BCE, viene considerata un escamotage di politica interna per  non mostrare la reale entità della voragine delle banche iberiche. La BCE si tiene in mano tutte le proprie carte (riduzione dei tassi, una nuova operazione di liquidità per le banche, acquisto dei titoli di stato), ma si riserva di utilizzarle solo in caso che la situazione precipiti.
In mancanza di un progresso sostanziale su questi due punti, il vertice ha trovato l’accordo sul pacchetto di misure, preparato dalla Commissione europea, sulla ricapitalizzazione della BEI, i project bond e l’ utilizzo dei fondi strutturali come leva per la crescita e l’occupazione. La BEI sarà rifinanziata con un capitale di 10 miliardi di E attraverso cui potrà mobilitare fino a 150 miliardi di E insieme al settore privato. Il meccanismo è stato spiegato più volte. Esso serve a finanziare con l’apporto privato i progetti di infrastrutture, a cominciare dai Network Trans europei di Trasporto (TEN-T), le ristrutturazioni energetiche e la ricerca. I project bond potranno aver accesso a un capitale che per ora è di 240 milioni di E di fondi comunitari non utilizzati che dovrebbero fungere da catalizzatori di investimenti pubblici e privati in progetti che si spera possano moltiplicare per 20 l’investimento reale, fino a raggiungere la cifra di 4,6 miliardi di Euro. Pur ammesso che questo meccanismo funzioni occorrerà tempo e a regime esso potrà creare al massimo 900 mila posti di lavoro nei paesi dell’Unione. Per questo esso viene considerato un “palliativo” in un continente in cui ci sono 25 milioni di disoccupati. Anche se è meglio di niente.
Non risulta che nella cena di mercoledì notte si sia parlato della proposta del governo Monti di escludere dal patto di stabilità gli investimenti pubblici per la ricerca e l’innovazione e per creare posti di lavoro (la cosiddetta golden rule). Invece è stata presa in considerazione un'altra  idea avanzata da Monti in sintonia con il presidente della BCE Mario Draghi: quella di una supervisione bancaria più integrata esercitata dalla BCE e un sistema di garanzia e di assicurazione sui depositi bancari che rassicuri i risparmiatori circa i rischi di insolvenza delle banche. La BCE ritiene che per meglio affrontare la crisi finanziaria l’Europa debba centralizzare la normativa sui depositi bancari e istituire una assicurazione sugli stessi, ma solo quando la vigilanza (che oggi è nelle mani delle banche nazionali) venga trasferita alla BCE. L’argomento sarà approfondito e presentato in un dei prossimi vertici.
Il tema clou della serata sono stati comunque gli eurobond, su cui per la prima volta la cancelliera Angela Merkel, su pressante richiesta del presidente francese François Hollande, ha accettato di discutere. Non era scontato tanto che alla vigilia l’entourage della Merkel aveva escluso che il tema fosse nell’agenda. Ma le divisioni rimangono e le ha riassunte Hollande in conferenza stampa: “La Germania pensa che gli eurobond siano un punto di arrivo, la Francia crede che siano un punto di partenza”.
I partner si sono impegnati a mettere in cantiere al prossimo Consiglio europeo del 23-24 giugno misure per stimolare la crescita e per studiare come implementare gli eurobond, che non riguarderanno il debito passato ma solo quello futuro. Ogni paese dovrà continuare nelle politiche di rigore e di riforme strutturali per  recuperare la fiducia dei mercati. Per il futuro, con gli eurobond si potrà “mutualizzare” il debito nel senso che i bond saranno messi sul mercato a un tasso di interesse medio fra quello della Germania che è dell’1% e quello della Spagna che è al 6%.  Quindi essi possono servire per ottenere migliori condizioni nel rifinanziamento del debito e alleviare la pressione dei mercati. Il presidente del Consiglio europeo Van Rumpuy ha detto: “Nessuno chiede l’introduzione immediata degli eurobond, perché ciò richiede tempo e bisogna vedere le ripercussioni giuridiche, ma gli eurobond sono dentro un piano a lungo termine che inizierà con il prossimo vertice per complementare l’Unione monetaria e rafforzare l’unione economica”.
Il vertice ha mostrato che l’asse Francia-Germania non esiste più nei termini in cui l’avevamo conosciuto  con il “direttorio” Merkel-Sarkozy.  Oggi le alleanze sono variabili e si formano sulla base di interessi e temi concreti.  L’aspirazione di Hollande a ”riorientare la costruzione europea” e interrompere la spirale avversa attraverso cui una politica di rigore peggiora i conti pubblici e  aggrava la recessione è stata in  parte recepita, anche grazie all’azione di cerniera svolta dall’Italia. Ma non c’è ancora accordo sugli strumenti e le politiche. Accettati in linea di principio gli eurobond non ci si può limitare ad essi. Occorre puntare su un menù di politiche per ricreare la fiducia e ripartire.

Giancarlo Pasquini