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Briciole di pane

Logistica del freddo, si rischia di rimanere scottati

Complessità ed evoluzione dei trasporti in una logica manageriale

Roma, 5 giugno 2015 – Di solito, quando un trasporto è inefficiente, la conseguenza è “semplicemente” un ritardo. Non che si tratti di un esito banale, intendiamoci. Il ritardo può alterare i piani produttivi o commerciali, tanto del fornitore quanto del cliente, ripercuotendosi su tutta una filiera. A maggiore ragione, nelle economie ultra-integrate del giorno d’oggi. Di solito, però, oltre al ritardo non si registra altro.
Esiste, tuttavia, un settore specifico nel quale l’inefficienza del trasporto equivale alla perdita del carico. Se non addirittura a rischi per la salute pubblica. E’ il trasporto di derrate deperibili, conosciuto anche come: “catena del freddo”. La normativa di riferimento, estremamente rigorosa, muove da un accordo internazionale (il cosiddetto A.T.P. del 1970, ossia “Accord Transport Perissable”) ed è valida, da tempo, anche per i trasporti nazionali.
L’A.T.P. impone severe regole nella costruzione degli allestimenti isotermici per i trasporti frigoriferi refrigerati, stabilisce determinate prescrizioni per gli utilizzatori, elenca i tipi di alimenti deperibili da trasportare in regime di temperatura controllata nonché le relative temperature da rispettare.
Meritano, poi, di essere ricordati il D.M. (Ministero dell’Industria, di concerto con quello della Sanità) 493/1995 “Regolamento di attuazione delle direttive 92/1/CEE, relativa al controllo delle temperature degli alimenti surgelati, e 92/2/CEE, relativa alle modalità di campionamento e al metodo di analisi per il controllo delle temperature”, come pure il D.lgs. 110/1992 “Attuazione della direttiva n. 89/108/CEE in materia di alimenti surgelati destinati all'alimentazione umana”.
Il motivo di una disciplina tanto perentoria è facilmente intuibile: ogni rottura della catena del freddo altera le proprietà organolettiche degli alimenti favorendo, in misura più o meno grave, lo sviluppo di microrganismi. Minimizzare gli shock termici equivale, insomma, letteralmente, a difendere la qualità del cibo che arriva sulle nostre tavole.
Per questo, è bandito il pressapochismo dalle aziende di autotrasporto che trattano “freddo” e “fresco”. D’altronde, se non ci pensassero loro ci penserebbero i rispettivi clienti. Ma parliamo, in realtà, di aziende di autotrasporto ormai altamente specializzate.
In Italia sono circa una cinquantina gli operatori capaci di assicurare trasporti a temperatura controllata secondo i più elevati standard. Dunque, un numero relativamente contenuto di player, rispetto alla frammentazione e al “nanismo imprenditoriale” che contraddistingue, storicamente, quel comparto.
La crisi, poi, ha favorito diverse fusioni e ha comportato un definitivo abbandono delle dimensioni e mentalità “familiari” in favore di scelte schiettamente manageriali. Anche perché, trattando trasporti così delicati, servono cospicui e continui investimenti. Le flotte, d’altronde, devono essere mantenute giovani, intorno ai cinque anni al massimo, dato che è semplicemente inconcepibile un guasto del veicolo, o peggio dell’impianto frigo, nel bel mezzo di un viaggio (laddove, lo rammentiamo, le ultime statistiche pubblicate da Anfia sul parco circolante italiano danno un’età media dei veicoli industriali di 8 anni per i trattori, e 22 anni per i semirimorchi).
C’è dell’altro. Il passo successivo all’efficientamento dei trasporti, infatti, è la logistica integrata. La pressante esigenza di soddisfare il cliente arriva fino all’acquisizione di magazzini di stoccaggio per certificare tutta la filiera, fino al punto vendita. “Per i gelati e i surgelati occorre sempre mantenere una temperatura intorno ai -27 °C per essere sicuri che, poi, durante tutta la catena del carico, dello stivaggio e della distribuzione, non salga mai oltre i -18 °C imposti dalla legge” ha recentemente dichiarato, alla rivista TIR, uno dei maggiori operatori italiani. Ha precisato pure che “quando il prodotto è finito, viene prelevato dallo stabilimento e stoccato provvisoriamente in un magazzino distante soltanto pochi chilometri; da qui viene prelevato da una serie di ‘navette’ (trattori con semirimorchio isotermico) che lo trasportano al magazzino centrale, dove esistono gigantesche celle con temperature costanti a -27 gradi. Il pavimento del semirimorchio di ‘transito’ è dotato di rulli che si congiungono con quelli della rulliera nell’anticella (0-4 °C) del magazzino di stoccaggio. I pallets ‘scivolano’ velocemente, lo scarico dura circa 2 minuti, poi sono caricati dai muletti, registrati, portati nelle celle e, dopo massimo 15 minuti, devono essere stivati nei posti pallet pre-assegnati”.
L’hanno detto, e continuano a dirlo, tutti coloro che studiano il settore e le sue dinamiche: il rilancio del sistema trasportistico italiano, se mai avverrà, non potrà che passare attraverso una decisa ristrutturazione della relativa configurazione imprenditoriale, per avere finalmente, anziché aziende “di autotrasporto”, aziende “di logistica”, capaci di far risaltare, nella logistica stessa, la vera e profonda componente “di servizio”, generatrice di reddito. In generale, questa sembra ancora un’utopia. Ma, quando la colonnina di mercurio scende sottozero, l’utopia comincia ad avere i tratti della realtà.

Carlo Sgandurra