Madrid geme sotto troppe opere pubbliche
Milano, 20 novembre 2012 – In una generazione, la Spagna è passata da Hemingway, provinciale e dai riti antichi, a Keynes, zeppa di autostrade e treni veloci, senza trovare la strada dello sviluppo ed è oggi l'emblema più evidente della crisi del modello europeo. Gli investimenti fatti negli ultimi vent'anni, in gran parte con finanziamenti europei ben spesi, non hanno prodotto lo sviluppo che sulla carta i tecnici prospettavano, utilizzando i soliti modelli, sul finire degli anni 80.
Oggi la Spagna si ritrova con 19 aeroporti, una ricchezza infrastrutturale compiuta, che lavorano semivuoti e incarnano tante cattedrali keynesiane di una occupazione forzata, ma sempre meno sostenibile dal pil domestico. E qui emerge uno dei vulnus veri della moneta unica: la scarsa mobilità interna del capitale umano. Negli Usa o in un vero Stato federale tedeschi, olandesi e francesi avrebbero da tempo deciso di muoversi per stabilire la propria attività lavorativa nella Spagna rinnovata nelle condizioni di vita e nelle infrastrutture. Le multinazionali europee, in assenza di barriere linguistiche e burocratiche nazionali, avrebbero spostato, già da qualche anno, parte dei loro asset in un territorio diventato davvero competitivo nell'offerta logistica e con un costo unitario dei fattori produttivi più contenuto. Invece l'euro è troppo ancora una semplice unità di conto di una grande area mercantile che manca, però, della mobilità che invece la globalizzazione sollecita ogni giorno di più. Si pensi al caso della Cina e alle migrazioni interne di decine di milioni di persone dalle campagne interne verso la costa arricchita di infrastrutture e di opportunità di business o alla stessa Russia, che ha visto Mosca diventare una megalopoli che punta i 20 milioni di abitanti nel giro di un batter d'occhio. Nell'Europa questo schema rimane incompiuto e le difficoltà dei Paesi che scontano il costo della sopravvalutazione dell'euro, ma non possono avvantaggiarsi dei benefici dell'appartenenza a un vero stato federale, sono sollecitate al massimo. Madrid ricorda l'Argentina del peso sopravvalutato del 2001, perché agganciato al dollaro, che andava incontro al collasso bancario ed economico provando a trattenere il respiro e illudendosi che congelare ogni mossa potesse servire a far passare la nottata. Per questa ragione il governo Rajoy, che non può svalutare ma che ha bisogno della domanda interna per non sprofondare, deve rompere gli indugi e negoziare l'attivazione del cosiddetto scudo antispread. Pagherà un prezzo politico, perché si troverà con ridotti strumenti per governare autonomamente la politica economica iberica, ma eviterà inutili sofferenze alla sua gente che, in assenza dei finanziamenti della Bce e del Fmi ma avendo la «catena» dell'euro al collo, non ha alcuna possibilità di archiviare la crisi con lo spread che rimane a quota 450.
La Spagna del keynesismo spinto con investimenti pubblici a gogò ma dal pil anemico e con la disoccupazione giovanile di massa è una Pintura negra di Goya in presa diretta: spazza via le illusioni di chi ancora sogna che fare spesa pubblica nel mondo globale di oggi basti per avere sviluppo e lavoro.