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Pedaggi autostradali, illegittime norme per rinvio aumenti

Verdetto Consulta su mancati adeguamenti tariffari 2020-2023

Le disposizioni che hanno rinviato i termini per l'adeguamento dei pedaggi autostradali per gli anni 2020, 2021, 2022 e 2023, in attesa dell'aggiornamento dei piani economici finanziari, sono costituzionalmente illegittime perché in contrasto con gli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione.

È quanto ha deciso la Corte costituzionale - accogliendo il ricorso del Consiglio di Stato che lamentava la lesione della libertà di impresa e dell'utilità sociale - con la sentenza numero 147 depositata che ha ritenuto fondate le relative questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato sull'articolo 13, comma 3, del decreto-legge numero 162 del 2019, nel testo originario, e sull'articolo 13, comma 5, del decreto-legge numero 183 del 2020, i quali rinviavano i termini per l'adeguamento delle tariffe autostradali per gli anni 2020 e 2021. I dettagli sono riportati in un'agenzia Ansa.


La Corte ha esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale, in via conseguenziale, alle ulteriori disposizioni che ulteriormente rinviavano gli adeguamenti tariffari, anche per gli anni 2022 e 2023 (art. 2, comma 1, del d.l. n. 121/2021; art. 24, comma 10-bis, del d.l. n. 4/2022; art. 10, comma 4, del d.l. n. 198/2022), e che così facendo hanno accentuato gli illegittimi effetti determinati dalle disposizioni censurate.

Il Consiglio di Stato, che è stato chiamato a pronunciarsi sull'impugnazione, da parte di una concessionaria autostradale, di due note del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che non avevano riconosciuto gli adeguamenti tariffari per il 2020 e il 2021, lamentava, in particolare, che le disposizioni di legge che avevano rinviato i termini per detti adeguamenti pregiudicassero irragionevolmente la continuità dell'azione amministrativa e producessero conseguenze negative sulla libertà d'impresa e sull'utilità sociale.

Nell'esaminare le questioni sollevate, la Consulta ha dapprima dato conto del complesso quadro fattuale e normativo in materia, che vede oggi attribuita all'Autorità di regolazione dei trasporti (ART) la competenza tanto a definire i criteri per la fissazione delle tariffe e dei pedaggi autostradali, quanto a esprimersi, in ordine a tali profili, sugli aggiornamenti alle convenzioni autostradali. ART ha esercitato la propria competenza in materia di definizione dei criteri nel corso del 2019. Ciò premesso, i giudici costituzionali hanno osservato che le disposizioni censurate dal CdS violano, innanzitutto, il principio di continuità amministrativa, che impone di evitare ogni ritardo che non sia strettamente funzionale alla salvaguardia dell'interesse pubblico cui è finalizzato il concreto procedimento e che possa pregiudicare, in tal modo ingiustificatamente, l'interesse dei privati. Le concessioni come quelle in materia autostradale, infatti, hanno natura contrattuale e trovano la loro fonte di disciplina nella relativa convenzione, per mezzo della quale la funzione amministrativa è esercitata con un modulo consensuale invece che con un provvedimento: il procedimento per l'adeguamento delle tariffe non può dunque essere inciso unilateralmente, in senso sfavorevole per una sola delle parti e alterando così l'equilibrio contrattuale. L'alterazione della parità delle parti, del resto, non è nel caso di specie sorretta da una idonea ragione di interesse pubblico, in quanto l'esigenza di assicurare l'applicazione del nuovo sistema tariffario, a fronte di richieste asseritamente contrastanti con esso da parte della concessionaria, poteva già essere soddisfatta dall'applicazione delle delibere sia del CIPE sia dell'ART nel frattempo intervenute. L'alterazione dell'equilibrio tra le parti - ha aggiunto la Corte - determina altresì la lesione dell'articolo 41 della Costituzione. In rapporti di tal genere, proprio per l'importanza che essi rivestono e per gli interessi che intendono soddisfare, l'equilibrio contrattuale convenuto fra le parti assume massimo rilievo, in quanto funzionale a rendere l'esercizio della concessione in linea con gli interessi del Paese e nella piena garanzia dell'utenza. Se il legislatore non perde la possibilità di incidere sul rapporto concessorio - dettando una disciplina normativa in parte diversa da quella vigente all'epoca della stipula della convenzione, come d'altro canto accaduto proprio nel settore autostradale, anche, ma non solo, con l'istituzione dell'ART - non può però porre una disciplina che, rinviando gli adeguamenti tariffari, sbilanci irragionevolmente il rapporto concessorio in favore dell'amministrazione concedente, con ricadute negative sugli interessi tanto dei concessionari, quanto dell'utenza, in ragione delle conseguenze di non poco momento che così possono aversi sull'infrastruttura autostradale, sulla sua efficienza e sulla sua sicurezza, che necessitano di manutenzione e investimenti che vanno programmati.

La Corte ha poi precisato che lo sbilanciamento del rapporto concessorio così posto in essere non è funzionale neppure a impedire un asserito aumento ingiustificato delle tariffe, sul presupposto che queste potessero essere calcolate sulla base dei vecchi criteri. A escludere una tale evenienza, infatti, stanno proprio l'istituzione dell'ART, la successiva estensione delle sue competenze alle concessioni in essere e, infine, le delibere dell'Autorità che hanno dettato criteri uniformi per il calcolo delle tariffe, cui ora le parti, secondo una efficace e doverosa interlocuzione, debbono dare applicazione.