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Briciole di pane

Proventi contravvenzionali: uno sguardo retrospettivo

Le scelte dei codici della strada, le pressioni della realtà

Roma, 1 ottobre 2015 - Parliamo ancora una volta dei destinatari delle somme di denaro versate come pagamento per le “multe” stradali, ma proviamo a farlo da una prospettiva insolita, tutt’altro che priva di interesse, come avremo modo di vedere. Punto di partenza: le discussioni che ultimamente tengono banco, particolarmente accese sul web ma riprese anche nel corso di convegni di livello istituzionale. Discussioni non leggere, non superficiali. Più o meno critiche verso l’attuale assetto legislativo e riconducibili, in estrema sintesi, a tre istanze o “voci di fondo”.


C’è l’Anas, che lamenta di avere un peso pari a zero nella ripartizione dei proventi benché rivesta – al massimo livello possibile – il gravoso ruolo di “Ente proprietario delle strade”, con il suo carico di responsabilità. Pure la legge del luglio 2010 sui proventi da sanzioni pecuniarie per eccesso di velocità (da attribuire, al 50%, all’Ente proprietario della strada), pensata espressamente per dare un minimo di “respiro” alla manutenzione delle strade statali, è rimasta, di fatto, lettera morta a causa di un difetto di formulazione.


Su un altro versante, parecchi Comuni (piccoli, medi e grandi) mettono in guardia, non a torto, dal rischio di un eccessivo “appiattimento”: non si può, insomma, trattare tutti allo stesso modo. Ove un’Amministrazione locale impieghi personale e risorse in complicate attività di governo/controllo del territorio che portano ad elevare sanzioni pecuniarie, deve anche trarne, questo il ragionamento, una qualche utilità economica; sarebbe inaccettabile, e totalmente controproducente sul piano socio-politico, una sua equiparazione legislativa ad Amministrazioni inerti o quasi.


C’è, poi, la particolarissima situazione di Roma Capitale. Area urbana oltremodo complessa, decisamente “fuori sistema” rispetto alle altre, chiamata a gestire una congestione nella circolazione viaria che deriva (anche) dall’essere sede geografica di ben due Stati. Non mancano, proprio in queste settimane, interventi nei blog che sollecitano (o, viceversa, paventano) l’installazione di 100 autovelox all’interno del Grande Raccordo Anulare, anche in previsione delle problematiche di sicurezza stradale collegate all’afflusso di pellegrini.


Questo, dunque, il quadro della situazione. Tenendolo ben presente, andiamo a vedere come disciplinava la questione dei proventi contravvenzionali il Codice della Strada del 1928 (Regio Decreto 2 dicembre 1928, n. 3179 - “Norme per la tutela delle strade e per la circolazione”), vale a dire il primo vero e completo “Codice della Strada” d’Italia (quello del 1923 si poneva, in sostanza, come testo normativo organico riferito al solo fenomeno della circolazione, non anche all’infrastruttura viaria).


Il legislatore del 1928 stabilì che: i proventi sono devoluti per intero all’Azienda Autonoma Statale della Strada, se trattasi di contravvenzioni da chiunque accertate sulle strade statali; per le contravvenzioni accertate su strade non statali, sono devoluti allo Stato, se trattasi di violazioni accertate dai suoi funzionari o agenti, mentre sono devoluti per metà allo Stato e per metà alle Provincie o ai Comuni, se trattasi di violazioni accertate da funzionari o agenti delle Provincie e dei Comuni; sono devoluti per intero ai Comuni se trattasi di infrazioni, da chiunque accertate, ai Regolamenti Comunali previsti dal Codice (in effetti ciascun Codice della Strada riconosceva e riconosce tuttora, per la circolazione stradale all’interno dei centri abitati, una non piccola autonomia normativa facente capo all’Ente locale); sono devoluti per intero al Governatorato, se trattasi di infrazioni avvenute nella città di Roma (il Governatorato era l’Ente pubblico che amministrava, in quel regime storico, la città stessa). Un’attualità davvero straordinaria, non c’è che dire.


Le regole di riparto fissate nel 1928 transitarono, inalterate, nel Codice della Strada del 1933 (Regio Decreto 8 dicembre 1933, n. 1740 - “Testo unico di norme per la tutela delle strade e per la circolazione”). Ma con il Codice del 1959 - e ancor più con il Codice del 1992, ora vigente - tali regole furono completamente modificate, adottando criteri di riparto delle somme non più “oggettivi” (viene in rilievo il luogo di commissione dell’infrazione e il tipo di norma violata) ma “soggettivi” (importa, solo e soltanto, l’amministrazione nella quale è inquadrato l’agente accertatore).


L’art. 208 comma 1 dell’attuale Codice segna la consacrazione di quelli che abbiamo testé chiamato “criteri soggettivi”. Lo conosciamo tutti, ma non sarà inutile riportarne qui il testo completo: “I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal presente codice sono devoluti allo Stato, quando le violazioni siano accertate da funzionari, ufficiali ed agenti dello Stato, nonché da funzionari ed agenti delle Ferrovie dello Stato o delle ferrovie e tranvie in concessione. I proventi stessi sono devoluti alle regioni, province e comuni, quando le violazioni siano accertate da funzionari, ufficiali ed agenti, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni”.


Dopo più di mezzo secolo, in un’ottica di “valutazione della regolazione” in senso lato, possiamo dichiararlo senza timore: la scelta legislativa del 1959 (confermata e rafforzata, si ripete, nel 1992) non ha dato buona prova di sé. Del resto, se fosse altrimenti, le polemiche e le criticità di cui si è detto all’inizio non sussisterebbero. Certo, vale comunque – ne siamo ben consapevoli – la cautela che dovrebbe accompagnare ogni ragionamento in prospettiva storica: è spesso illusorio convincersi che scelte politico-amministrative effettuate in un determinato contesto sociale, culturale ed economico possano essere trapiantate, senza problemi e con efficacia risolutiva, in un’altra epoca, profondamente diversa. Ma ci sono casi nei quali la tentazione di affermare che il “futuro sta nel passato” risulta, oggettivamente, irresistibile. Questo, è proprio uno di quei casi.

Carlo Sgandurra