Flash news Infrastrutture:
 
 

Briciole di pane

Si alla fusione tra Impregilo e Salini

Il nuovo gruppo avrà 4,5 miliardi di ricavi e conta di arrivare a 7 miliardi di fatturato nel 2016

Roma, 25 giugno 2013 - Nasce ufficialmente il gruppo Salini-Impregilo. I consigli di amministrazione dei due gruppi hanno infatti approvato il progetto di fusione. Due i punti fermi decisi dai Cda con un concambio a 6,45 azioni Salini per ognuna di Impregilo e con la quota di Salini che sale quindi all'89,90 per cento dell'azionariato (dal precedente 88,83 per cento).

A meno di un anno dalle infuocate assemblee che hanno portato al passaggio del controllo da Gavio a Salini, il principale general contractor italiano Impregilo si avvia dunque concretamente alla fusione con la società del costruttore romano, obiettivo da sempre dichiarato da Pietro Salini.

In attesa del sì ufficiale delle assemblee straordinarie che saranno convocate dopo l'estate, si formerà un gruppo che, secondo il piano industriale 2013-2016 (che sarà presentato alla comunità finanziaria il 27 giugno presso la sede della Borsa Italiana a Milano), avrà un obiettivo di ricavi a 7,4 miliardi di euro, un margine operativo lordo a un miliardo e un portafoglio ordini a 26 miliardi nel 2016. L'attuale portafoglio ordini supporta oltre il 60% dei ricavi nell'orizzonte di piano. La posizione finanziaria netta è attesa in pareggio già dal 2014 e addirittura positiva al 2016.

Numeri importanti per l'Italia, ma ancora un po' lontani dalla top ten dei costruttori europei e, ancora di più, mondiali. Le classifiche del settore contengono anche gruppi da business non del tutto omogenei, ma le cifre parlano: nel mondo i primi tre global contractor sono cinesi, cioè le due divisioni della China Railway da 79 e 77 miliardi di fatturato, seguite dalla China state engineering a quota 68 miliardi, anche se solo una parte è generata dalle pure costruzioni. Poi c'è il gigante francese Vinci a quasi 40 miliardi di ricavi. E qui vengono le difficoltà, perché in Europa Salini-Impregilo andrebbe a prendersi il 21esimo posto della finlandese Yit corporation e nel mondo il 58esimo, davanti a Marie tecnimont (31esima nella classifica continentale, ma in discesa) e Astaldi (36esima). Lontani gli altri due gruppi made in Italy Pizzarotti e Trevi, rispettivamente 79esimo e 80esimo.

Fin dall'inizio della battaglia con Gavio per il controllo di Impregilo, la strategia di Salini è sempre stata la fusione: per competere nelle costruzioni - sulle quali il gruppo si concentrerà sempre più - bisogna avere dimensioni importanti. Questo passaggio dovrebbe essere l'inizio perché - se veramente il progetto di generare risparmi, economie di scala e possibilità di competere sui mercati porterà davvero al 'boom' dei ricavi previsto tra tre anni - il gruppo si avvicinerà ai primi dieci europei e punterebbe ai primi 30 mondiali.

Il portafoglio ordini del gruppo che Pietro Salini, supportato dal direttore generale Massimo Ferrari, ha chiamato all'inizio della sua scalata in Impregilo «Campione nazionale» supererà dunque i 20 miliardi di euro, con oltre 32mila dipendenti. Il successo del progetto dipenderà anche dalla redditività dei cantieri, a partire dall'allargamento del Canale di Panama portato in dote da Impregilo e dalla costruzione delle diga etiopica sul Nilo blu che, al di là delle polemiche politiche soprattutto egiziane, rimane uno dei lavori più importanti di Salini.

Si completa così, in attesa del via libera delle assemblee, l'operazione di matrimonio tra Impregilo e Salini dopo l'Opa da 500 milioni che l'ha portato a detenere il 90% della società milanese.

Un processo che è durato circa un anno e mezzo: prima con l'ingresso di Pietro Salini nel capitale di Impregilo in minoranza, poi con la progressiva crescita nell'azionariato e l'inizio della battaglia legale con Gavio che ha avuto il suo apice nell'infuocata assemblea dello scorso anno rimasta negli annali. Infine gli ultimi concitati passaggi degli ultimi mesi: con la cessione della partecipazione nella azienda brasiliana quotata Ecorodovias, con la successiva distribuzione del dividendo da 600 milioni di euro e, in ultima istanza, il lancio finale dell'Opa per il controllo totalitario del general contractor milanese.

Carlo Festa (Sole 24 Ore)