Sud, così sono evaporati gli investimenti pubblici
Spesa media al 35% lontana dall'obiettivo del 41,4%
Roma, 12 ottobre 2011 - C'era una volta l'obiettivo governativo di destinare al Mezzogiorno almeno il 45% degli investimenti pubblici. Riconosciuto da esecutivi di Centrosinistra prima e di Centrodestra poi. Una soglia ritoccata al ribasso, fino ad arrivare a quota 41,4%, dal Documento di programmazione economica e finanziaria 2008-2011.
Tutta teoria, perché a guardare i fatti la spesa in conto capitale della pubblica amministrazione per il Sud nel 2009 non va oltre il 33,5% del totale. E se poi si prende in considerazione il cosiddetto settore pubblico allargato - cioè le società di proprietà di Stato, regioni ed enti locali - la "fetta" per il Meridione nello stesso anno scende al 28,7 per cento. Paradossi italiani, documentati con scrupolo dal «Rapporto annuale 2010 sugli interventi nelle aree sottoutilizzate» del Dps, il dipartimento per lo Sviluppo e la coesione economica, e presentato in Parlamento dal ministro per la Coesione territoriale Raffaele Fitto.
Si sa che i tempi cambiano e così gli orientamenti dei governi. I dati del Rapporto ne sono specchio: fino a qualche anno fa, quando nei provvedimenti ministeriali si faceva riferimento a investimenti pubblici e trasferimenti di capitale rivolti ai diversi territori del Paese, espressione ricorrente era la "funzione riequilibratrice a favore del Mezzogiorno".
Nel 2001 al Sud lo Stato investiva direttamente 20,7 miliardi, ossia il 41,2% della complessiva spesa in conto capitale. A livello procapite, tuttavia, i residenti al Sud beneficiavano di mille euro contro i circa ottocento euro dei cittadini del Centronord, differenze finalizzate appunto a riequilibrare il divario tra le due parti del Paese.
Nel 2007 si inverte la tendenza. Nel 2009, ultima annualità documentata, gli investimenti della Pa rivolti al Sud sono stati pari a 20,5 miliardi, il 33,5% del totale nazionale. La quota di risorse pro capite è scesa a 776 euro, mentre quella del Centronord ha sfiorato gli 829 euro. E così, a fare la media delle performance dal 1996 al 2009 della spesa in conto capitale della pubblica amministrazione, emerge che il Sud non ha intercettato più del 38% delle movimentazioni complessive.
La situazione peggiora se si prende in considerazione il settore pubblico allargato: in questo caso, nello stesso periodo analizzato (1996-2009), il Mezzogiorno ha beneficiato in media del 35% delle risorse mosse. Nel 2001 intercettava investimenti e trasferimenti di capitale per 24,7 miliardi (il 36,7% del totale), nel 2009 arrivava a 24,4 miliardi (28,7 per cento). «Il fenomeno - si legge nel Rapporto del Dps - è in larga misura riconducibile alle dinamiche di investimento degli Enti del settore pubblico allargato che incontrano grandi difficoltà nel realizzare un'azione redistributiva tra le aree del Paese, benché in tal senso indirizzati dal decisore pubblico».
I numeri parlano da soli: se si eccettua Anas che nel 2009 "punta" sul Sud il 50% dei propri investimenti (probabile effetto dei lavori in corso sulla Salerno-Reggio Calabria), nessuno tocca l'obiettivo del 41,4 per cento. Eni lo sfiora (40,8%), seguono distanziate Poste Italiane ed Enel, entrambe al 28,9 per cento. Completano il quadro le aziende che qualche anno fa appartenevano alla galassia Iri (da Finmeccanica alla Rai) al 23,4% e Ferrovie dello Stato al 22,1 per cento.
Sommando le performance della Pa a quelle del settore pubblico allargato, il Rapporto Dps mette in evidenza come (2001-2009) il Mezzogiorno "raccolga" una spesa in conto capitale di poco più di mille euro per cittadino, mentre il Centronord raggiunge i 1.215 euro "con un divario tra le due aree - scrivono gli analisti - che si sta accentuando».
A cosa è imputabile il fenomeno? Secondo il Rapporto, «al ridursi della spesa a valere sui fondi strutturali (per il lento avvio del nuovo ciclo di programmazione) e sul Fondo per le aree sottoutilizzate». Dove il governo è intervenuto a suon di tagli. Un quadro che per il Sud ha davvero il sapore della beffa, se si considerano anche i possibili effetti del federalismo fiscale prossimo venturo.