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Briciole di pane

Gare, esclusione per condanna penale

Consiglio di Stato, Sent. 4333 del 15 luglio 2011

Roma, 20 luglio 2011 - Quid se emerga, in sede di gara, che nei confronti di uno dei partecipanti sia stata emessa sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., per reati gravi che incidono sulla moralità professionale?

Il Consiglio di Stato, in tema dei requisiti di partecipazione, ricorda – nella pronuncia - che  l’art. 38, comma 1, lett. c) del d. lgs. n. 163 del 2006, prevede l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento di appalti pubblici dei soggetti nei cui confronti sia stata emessa sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., per reati gravi che incidono sulla moralità professionale.

Il comma 2 della medesima norma prevede che le imprese partecipanti alle gare pubbliche devono presentare apposita dichiarazione, ai sensi dell’art. 43 del D.P.R. n. 445 del 2000, nella quale devono indicare anche le eventuali condanne per le quali hanno beneficiato della non menzione.

Le stazioni appaltanti verificano sulla base delle dichiarazioni presentate e degli altri elementi di cui dispongono il possesso dei necessari requisiti di partecipazione e verificano se le condanne, riportate dagli amministratori con poteri di rappresentanza o dai direttori tecnici delle imprese partecipanti ad una gara pubblica, abbiano una rilevanza effettiva (ed attuale) sulla gara tale da determinare l’esclusione dalla stessa delle imprese interessate.

Tuttavia, sostiene il Collegio, occorre precisare che, sia nel caso di sentenza penale patteggiata, sia nel caso di decreto penale di condanna, la successiva estinzione del reato, ai sensi degli articoli 445 e 460 del c.p.p., pur operando in presenza dei presupposti stabiliti,  richiede comunque che l'esistenza di tali presupposti sia accertata con una pronuncia del giudice penale su istanza dell'interessato. L'iscrizione nel casellario dell’Autorità, infatti, ha la sola finalità di rendere noto il fatto annotato, la cui valutazione ai fini dell'esclusione o meno dalla gara resta pur sempre demandata, come si è detto, alla singola stazione appaltante.

In questo quadro, Il Consiglio ritiene quindi di escludere che una eventuale annotazione pregiudizievole nel casellario dell’Autorità di vigilanza dell’Autorità di vigilanza sui Contratti pubblici (AVCP) - salvo che non si tratti di una sospensione dalla partecipazione alle gare espressamente ed autonomamente disposta dall'Autorità - possa determinare automaticamente l’esclusione di una concorrente da una gara, ai sensi del predetto art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.

Infatti, sul punto, sottolinea il Consiglio, l’amministrazione deve dare adeguata considerazione, nella valutazione dei richiesti requisiti di moralità del contraente, anche all’attualità ed alla persistente rilevanza sia del fatto che aveva determinato l’annotazione nel casellario dell’Autorità di vigilanza, sia delle altre condanne che la stessa impresa aveva indicato nella sua dichiarazione.

Può farsi luogo al risarcimento del danno ove l’esclusione venga successivamente dichiarata illegittima?

Sostiene il Collegio che per riconoscere all’appellante il risarcimento del danno richiesto, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa.

In altri termini, dovrebbe farsi luogo al risarcimento quando:

- L’adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi,

- il giudice amministrativo abbia accertato la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo, in presenza di una violazione grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato.

In senso opposto, il diritto medesimo dovrebbe denegarsi quando l'indagine presupposta conduca al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1983 del 31 marzo 2011; Consiglio di Stato, Sez. V n. 8229 del 25 novembre 2010). In mancanza, dunque, della dimostrazione circa la rilevanza del danno subito e non risultando l’azione dell’amministrazione (ritenuta illegittima) determinata da colpa grave (né tantomeno dal dolo), non si farà luogo a risarcimento,

  Consiglio di Stato Sent. 4333 del 2011