L'ente proprietario non è lo "sceriffo" della strada
La Cassazione ritorna sull'articolo 14 del Codice della Strada, con alcune precisazioni

Roma, 28 luglio 2015 - Ragionamenti volutamente provocatori, spesso, possono rivelarsi utili a chiarire un contesto complessivo. Prendiamo la recentissima sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, n. 13568 del 2 luglio 2015.
La controversia originava da una richiesta di risarcimento del “danno esistenziale” lamentato da un “cittadino automobilista circolante e fruitore delle strade pubbliche”, per l’ansia e il disagio derivanti dall’assistere a fenomeni di accattonaggio e mendicità nelle intersezioni regolate da luce semaforica. Fenomeni, questi, a detta del ricorrente, “molesti” oltre che “pericolosi per la circolazione”: tali dunque da chiamare in causa i fondamentali compiti dell’Ente proprietario della strada (art. 14 del Codice della Strada).
La Cassazione, con pazienza, prende ad analizzare la fattispecie. Partendo da molto, molto lontano. Un essere umano, ricordano gli Ermellini, non è mai parificabile a una res. Un conto è l’ingombro alla strada prodotto da un ramo di albero caduto o da un masso, un conto è l’”ingombro” derivante da un comportamento umano (più o meno lecito, più o meno regolare). Nel primo caso, viene in rilievo l’attività “materiale” degli apparati pubblici (“pulizia delle strade” come dovere primario dei rispettivi Enti proprietari); nel secondo caso, ciò che conta è l’esercizio del potere da parte di altri apparati pubblici, innanzitutto come produzione di “regole” nei confronti dei consociati, finalizzate a imporre, o vietare, nel rispetto di certi principi, determinate condotte (norme di pubblica sicurezza, eventuali ordinanze del Comune, ecc.).
Chi proprio volesse sindacare l’esercizio, o il mancato esercizio, di questo potere, dovrebbe rivolgersi ai giudici amministrativi, non a quelli ordinari. Tuttavia, come si diceva, anche una pronuncia che sembra risolversi in una mera declaratoria di giurisdizione del giudice amministrativo ha la sua importanza. Perché, se è pur vero che si trattava di una richiesta di risarcimento danni a forti tinte provocatorie, occorre interrogarsi, comunque, su come si porrebbero le situazioni giuridiche nelle fattispecie ordinarie, quelle che non arrivano alla soglia del caso-limite.
Fuor di metafora: la Cassazione lascia intendere che, astrattamente, nell’alveo dell’art. 14 del Codice, potrebbe benissimo configurarsi il “diritto”, risarcibile, ad avere strade (non solo prive di insidie) confortevoli, sgombre e pure piacevoli da percorrere. Gli Enti proprietari delle stesse lo tengano ben presente.