Sicurezza stradale, autovelox e dintorni
Alcune riflessioni conseguenti alla sentenza 4321/2014 del Consiglio di Stato

Roma, 1 ottobre 2014 - Parliamo ancora di autovelox. Ovvero, per usare un linguaggio più corretto, di dispositivi di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza degli eccessi di velocità. La recente sentenza 4321/2014 del Consiglio di Stato può essere, a giudizio chi scrive, una buona occasione per ribadire alcune verità basilari. Come sanno anche molti non addetti ai lavori (è sufficiente aver ricevuto un verbale d’infrazione e averlo letto in ogni sua parte), lungo le “normali” strade extraurbane gli autovelox possono essere installati unicamente nelle tratte individuate con un apposito decreto del Prefetto. La materia è minuziosamente regolata dall’art. 4 commi 1 e 2 D.L. 121/2002, come modificato dalla Legge di conversione 168/2002.
Di seguito il fatto, ridotto all’essenziale. Un comune del Molise, con il territorio attraversato dalla Statale n. 17, aveva installato, lungo la stessa, un autovelox, iniziando a rilevare, tramite la Polizia Municipale, gli eccessi di velocità. Il tutto, naturalmente, previo inserimento di quella tratta stradale nel decreto prefettizio. Sennonché, a un certo punto, con un nuovo decreto, il Prefetto di Isernia aveva espunto la tratta dall’elenco di quelle su cui possono essere utilizzati o installati i dispositivi in questione. Da qui, il ricorso del Comune al TAR e una vicenda giudiziaria approdata, alla fine, a Palazzo Spada.
La suprema magistratura amministrativa, per la cronaca, ha riconosciuto, nella fattispecie, l’inattaccabilità del provvedimento prefettizio in quanto atto ampiamente discrezionale. Ma, ancor più della sentenza, è interessante leggere i vari commenti diffusisi nei siti web di settore. Secondo alcune “voci”, la decisione del Consiglio di Stato merita, semplicemente, un plauso: fungerebbe da argine al deprecabile fenomeno dell’utilizzo degli autovelox come mezzo finalizzato a rimpinguare le casse comunali, anziché ad accrescere la sicurezza stradale (rammentiamo che in casi come questo i proventi contravvenzionali, nonostante ambigue modifiche normative, risultano sempre destinati, nella misura del 100%, all’Amministrazione di appartenenza degli agenti che accertano l’infrazione). Secondo altre “voci”, evidentemente più vicine al mondo delle autonomie locali e alle relative istanze, tutta la vicenda altro non celerebbe che la volontà, inconfessabile, di sgravare gli Uffici della Prefettura da una rilevante mole di lavoro, atteso il gran numero di ricorsi originati dall’autovelox.
In realtà, volendo restare sul piano strettamente giuridico, e quindi senza fare il processo alle intenzioni a nessuno, dalla sentenza in discorso trapela un’argomentazione più che solida: l’utilizzo dell’autovelox, sostengono i giudici del Consiglio di Stato, fa eccezione alla regola, generalissima, della contestazione immediata delle infrazioni stradali. Va, cioè, in deroga a un principio posto a garanzia del cittadino. Pertanto, i requisiti di adeguata motivazione, ed esatta rispondenza formale e sostanziale al contenuto del citato art. 4 D.L. 121, dovranno essere valutati con particolare severità nel decreto prefettizio che inserisce una certa tratta stradale nell’elenco di quelle ammesse all’autovelox; non già nel decreto, di segno opposto, che la espunge. Ma, a parte queste considerazioni, è evidente che, in un quadro del genere, tutto il sistema complessivo lascia a desiderare.
Da pochi giorni ha preso avvio, alla Camera, la discussione sul progetto di legge che conferisce al Governo una delega per la riforma del Codice della strada (testo unificato A.C. 731 e A.C. 1588-A). Tra i principi e criteri direttivi della delega, figura la “revisione dell’apparato sanzionatorio... secondo principi di ragionevolezza, proporzionalità, effettività e non discriminazione”, che dovrebbe declinarsi, tra l’altro, nella “revisione del sistema di accertamento illeciti amministrativi, anche con riferimento ai nuovi strumenti di controllo a distanza”. La speranza, è che il meccanismo sanzionatorio possa essere, davvero, ripensato in ogni suo aspetto. Anche in quello della destinazione dei proventi contravvenzionali. Recuperando, perché no, il criterio dell'assegnazione di tali proventi all'Ente proprietario della strada: con una loro rigorosa finalizzazione a interventi di manutenzione e/o miglioramento infrastrutturale. Un criterio che presenterebbe un'indubbia valenza etica