Flash news Infrastrutture:
 
 

Briciole di pane

TFR per le grandi opere

Fondi pensione come utilizzarli per aiutare la ripresa del Paese

Roma, 14 novembre 2011 - Probabilmente il problema principale provocato dalla crisi economica e finanziaria a livello globale è la mancanza di denaro per nuovi investimenti. Non solo per imprese e famiglie, dove, ovviamente, si verificano situazioni molto differenziate (dalla totale assenza di liquidità all'eccesso, come nel caso della Apple che avrebbe in cassa più denaro del Tesoro Usa stesso). Ma anche, e forse soprattutto, per gli Stati. Niente denaro fresco nelle casse dei governi significa prima di tutto niente nuova spesa pubblica, stop a nuove infrastrutture, poche occasioni di rilanciare l'economia, tendenzialmente cittadini (e dunque elettori) insoddisfatti. E questa molti governanti la trovano una prospettiva semplicemente terrificante. Dai prodotti finanziari alle grandi opere Tuttavia si può dire che un'idea si aggira per l'Europa. Di cosa si tratta? Molti governi stanno cercando di spingere i fondi pensione, che oggi allocano i loro capitali principalmente su prodotti finanziari, a investire direttamente in opere pubbliche, seguendo le indicazioni dell'Ocse che ha pubblicato di recente un rapporto sulla necessità di trovare risorse per le infrastrutture per far ripartire l'economia mondiale. In realtà in alcune nazioni i fondi stanno già investendo massicciamente e con successo in questo settore, in particolare Canada e Australia.

Secondo il rapporto Ocse i soldi necessari per sostenere le infrastrutture mondiali fra 2011 e 2030 ammontano a circa 50 mila miliardi di dollari più quelli necessari per contrastare gli effetti del cambiamento climatico, stimati in 39 mila miliardi di dollari fra 2011 e 2050. L'Ocse rivela che i fondi pensione americani (pesano per il 60% delle risorse gestite dai fondi a livello globale) sarebbero interessati, ma le occasioni di investimento sono poche e troppo rischiose per entrare nei loro portafogli: il requisito minimo sarebbe almeno la garanzia di recupero del capitale investito. La stragrande maggioranza delle opere pubbliche non presentano piani finanziari in grado di garantire questo risultato. Tuttavia alcuni operatori di Private Equity inglesi e americani sostengono che il problema e più di forma che di sostanza: le infrastrutture sono un campo ideale investitori con obiettivi a lungo termine come i fondi pensione, perché in realtà il rischio che esprimono è più quello di un allungamento dei tempi di ritorno che quello di un default. In altre parole le opere pubbliche, di solito, prima o poi pagano, anche perché garantite dai governi.

La Commissione europea e la Banca europea per gli Investimenti stanno lavorando a un'iniziativa per il finanziamento privato per la realizzazione di infrastrutture nell'Unione entro il 2020. Anche il governo inglese sta pensando a stimolare i fondi in questo senso: secondo il "Financial Times" probabilmente varerà una legislazione ad hoc già nella prima parte del 2012. Non lo stanno facendo invece i sistemi previdenziali dell'Europa continentale, che hanno molto bisogno di investimenti "sicuri" a lungo termine perché, in qualsiasi proiezione finanziaria a medio lungo termine, presentano problemi di sostenibilità.

L'idea di spostare i capitali immobilizzati a fini previdenziali verso investimenti infrastrutturali comincia a farsi strada anche in Italia. Paolo Marizza, partner della società di consulenza Financial Innovations, sul blog della sua società ricorda che in Italia "ai fondi pensione oggi aderiscono poco più del 20% dei lavoratori. Per questo si parla da anni di misure di stimolo che poi non vengono mai avviate per carenza di risorse. Le misure dovrebbero essere accompagnate da interventi che facciano leva sulla risorsa del Tfr già maturato, il cui ammontare è pari a oltre 200 miliardi di euro". La proposta è di dare ai dipendenti che non vogliono lasciare il Tfr in azienda la facoltà di cedere, tutto o in parte, il credito a banche o assicurazioni, ricevendone in cambio quote di fondi pensione per un ammontare equivalente. Gli intermediari diventerebbero creditori (garantiti dall' Inps) delle aziende. Data la massa di risorse disponibili, sempre secondo Marizza, anche se venisse mobilizzato soltanto il 40% dello stock di Tfr, si renderebbero disponibili circa 80 miliardi per i fondi pensione nazionali, di fatto raddoppiando la loro consistenza patrimoniale e rendendo possibile sia un'accelerazione della previdenza complementare, sempre più urgente, sia un effetto volano sulla crescita economica grazie agli investimenti in opere pubbliche in project financing. Nelle conclusioni, il partner della società di consulenza Financial Innovations, esprime più di un dubbio perché anche in presenza di maggiori masse critiche di investimenti rimane aperta la questione del tempo utile per rilanciare la crescita. Gli investimenti in infrastrutture richiedono anni per esplicare effetti moltiplicativi sull'economia e in Italia un'opera realizzabile in 4 anni ne "consuma" 3 in pratiche burocratiche.

Questi dubbi sono emersi anche nell'ambito del convegno "Sviluppare la previdenza complementare favorisce la crescita economica", promosso a Roma presso la Camera dei deputati a metà ottobre, da Assoprevidenza (l'Associazione italiana per la previdenza e assistenza e complementare) a cui hanno partecipato i principali esponenti del mondo previdenziale privato italiano. Uno degli obiettivi dell'incontro era proprio quello di proporre una "regolamentazione del mix degli investimenti" dei fondi e delle casse di previdenza autonome, partendo dalla considerazione che oggi, in assenza di strumenti di investimento pensati direttamente per i fondi pensione italiani, almeno il 60% delle risorse disponibili (che ammontavano nel 2010 a poco più di 83 miliardi) viene allocato all'estero. Senza dubbio un'occasione sprecata.

Ma perché i gestori dei fondi finiscono per preferire le proposte estere a quelle nazionali? Secondo Sergio Corbello, che di Assoprevidenza è il presidente, mancano alcuni elementi essenziali. Primo: facilitare l'ottenimento di rendimenti interessanti se possibile ancorati a garanzie minime. Secondo: riconoscere agevolazioni tributarie per il risparmio previdenziale: oggi i fondi pensione e le casse previdenziali che investono in strumenti finanziari scontano le stesse aliquote di qualsiasi privato cittadino. Terzo: definire i criteri che consentano di attribuire lo status di "locale" a un investimento. Quarto: favorire un mercato secondario dove le quote degli investimenti in infrastrutture possano essere trattati. Oggi questi investimenti non sono liquidi, mentre azioni, obbligazioni e quote di fondi esteri si. Quinto: regolamentare il mix degli strumenti tenendo presente il primo e il terzo punto. Ovvero che nessun organismo previdenziale metterà volentieri denaro in strumenti finanziari che presentano un'eccessiva concentrazione geografica, di settore o di controparte del rischio. Soddisfare questi criteri non è certo una passeggiata. Ma probabilmente è una delle poche strade per rilanciare gli investimenti pubblici.

Giovanni Medioli (L'impresa)

  La CBI chiede al governo di aiutare i fondi pensione a investire nelle infrastrutture - FT

  Intervista al presidente Commissione di vigilanza sui fondi pensione