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Briciole di pane

White list, protocolli, rating. Tre strumenti per la legalità e la crescita

Stato e imprese possono designare meccanismi virtuosi per migliorare l'allocazione delle risorse e combattere l'economia criminale

Agrigento, 30 marzo 2012 – Le cronache da Agrigento sono un esempio concreto di come le imprese e lo Stato - ed anche le banche - possono designare insieme meccanismi virtuosi per perseguire un duplice obiettivo: migliorare l'allocazione delle risorse e combattere l'economia criminale. Occorre, partendo dai protocolli di legalità, unire lo strumento delle liste bianche (white list) con quello dei rating antimafia, concretamente utilizzabili sia nella normativa bancaria, che in altre forme di regolamentazione pubblica, come quella degli appalti.
La fase congiunturale è molto delicata. Occorre valorizzare al massimo le imprese che lo meritano. Le imprese meritevoli sono quelle meglio attrezzate ad assumersi e gestire il rischio. Il rischio per una impresa può prendere tante forme. Una di queste è particolarmente tossica nel nostro Paese: il rischio di inquinamento da criminalità.
In Italia il rischio di inquinamento da criminalità ha assunto tre connotati endemici. Il rischio da criminalità è in primo luogo multiforme: l'associazione a delinquere non coincide più con la tradizionale figura della criminalità organizzata. L'idea classica di una economia dove non si violano norme - l'economia legale o bianca - che è radicalmente separata dai soggetti che le norme le violano sistematicamente - l'economia criminale o nera - con una terra di mezzo in cui alcune regole - vuoi fiscali, vuoi del mercato del lavoro - non sono rispettate - l'economia grigia - è obsoleta. Nel nostro Paese l'economia bianca appare sempre più minacciata dal combinato disposto di economia nera e grigia. La ragione è evidente: chi viola sistematicamente le regole trova spazi sempre più ampi e trasversali se i soggetti che violano talvolta o solo in specifici campi le norme diventano più numerosi.
In secondo luogo e di riflesso il rischio da criminalità è multi-inquinante, in termini di eterogeneità delle imprese che ne possono essere colpite, anche in termini di consapevolezza. In terzo luogo - sempre di conseguenza - il rischio da criminalità è oramai globale, nel senso della diffusione territoriale, nel nostro Paese ma anche all'estero.
Di fronte ad un rischio da criminalità che è dunque multiforme, multi-inquinante e globale, cosa può fare l'impresa che vuol rimanere sana? Investire nella prevenzione. Le imprese e le loro associazioni stanno mostrando una vitalità nuova, partendo dalla spinta di iniziative nate proprio nelle regioni a più alta vulnerabilità ai fenomeni di criminalità organizzata tradizionale. Per fare prevenzione occorre investire in protocolli di legalità, poi sviluppabili in elenchi delle imprese meritevoli (white list). Le white list devono essere caratterizzate da due principi: generalità dell'obiettivo e flessibilità delle procedure. L'obiettivo è massimizzare le garanzie di trasparenza e l'integrità dei rapporti dell'impresa con tutti i possibili soggetti (stakeholder). Le procedure devono essere modulate in funzione delle caratteristiche delle diverse imprese, dimensioni e settori inclusi.
Tali iniziative devono essere partecipate dal basso e implicano un impegno - che può essere anche molto significativo - di risorse economiche. Gli investimenti in sicurezza mirati a ridurre il rischio da criminalità devono dunque essere incentivati.
Se la riduzione della vulnerabilità all'infiltrazione riduce i rischi reputazionali, di questo si può tener conto nei meccanismi di allocazione del credito basati sul rating. Il meccanismo delle white list può concorrere a migliorare la valutazione di una impresa ai fini dell'allocazione del credito. Il rating anticrimine migliorerebbe le condizioni per le aziende meritevoli di credito. Certo la definizione del meccanismo anticrimine basato sul terzetto - protocolli di legalità - liste bianche - rating solleva tanti quesiti tecnici ed istituzionali. Ma la domanda vera è: si vuole davvero provare a coniugare la crescita economica con la lotta al crimine?

Donato Masciandaro (fonte: Il Sole 24 Ore)

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