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Briciole di pane

Dal "Pin talk Italia", spunti utili per contrastare l'incidentalità

Il progetto Pin (Road Safety Performance Index) confronta le performance dei Paesi europei in materia di sicurezza stradale

Roma, 20 settembre 2013 - Due indicazioni preziose, a conclusione del “Pin talk Italia” organizzato, a Roma, dall’ANIA (Fondazione per la Sicurezza Stradale), in collaborazione con il Consiglio europeo di sicurezza dei trasporti (ETSC). Preziose, perché a valenza strategica: puntano, infatti, direttamente, al contesto culturale e normativo in cui può attecchire un vero sviluppo della sicurezza stradale.


Prima indicazione: la messa in campo di alcune norme “unitarie” che regolino la circolazione stradale. Almeno, a livello europeo. Sarebbe, questa, un’iniziativa dai benefici incalcolabili. Equivarrebbe ad accelerare il processo (di per sé lento, anzi, plurigenerazionale) di globalizzazione delle conoscenze e dei comportamenti riferiti a quando si sta su strada. Processo complementare a quello, viceversa rapidissimo, di globalizzazione della mobilità. Perché se, oggi, per uno straniero, è assai facile procurarsi un autoveicolo e varcare i confini (perlomeno, facile in misura incomparabilmente maggiore rispetto al passato), è assai arduo ipotizzare che l’italiano e lo straniero abbiano acquisito, ciascuno nel proprio Paese, un minimo comun denominatore di consapevolezza sulla circolazione stradale, il suo significato, i fattori di rischio, l’utenza debole, le conseguenze sociali, sanitarie e personali di un sinistro. Le stime sugli incidenti stradali causati da stranieri sono, d’altronde, inequivocabili. Da ultimo, quelle diffuse dall’ACI: parliamo di 90 incidenti al giorno, con una media di 141 feriti e più di 1,4 morti, e un costo sociale di 4,2 miliardi di euro annui, pari a ben 14% del totale. La “parte del leone”, se così si può dire, la fanno proprio gli stranieri che hanno in tasca un passaporto del Vecchio Continente. Tutti numeri destinati a crescere con il proseguire dell’integrazione europea. A meno che, per l’appunto, non si cominci a intervenire sulle cause più profonde.


Seconda indicazione, specifica per l’Italia: una riforma del Codice della strada (Cds) che porti a una netta distinzione tra le norme relative ai comportamenti e quelle puramente tecniche. E’, questo, un obiettivo irrinunciabile. Del quale, peraltro si parla da tempo (almeno dal 2008) in diverse sedi. Gli Enti proprietari delle strade trarrebbero indubbio giovamento dal potere applicare, nella gestione dell’infrastruttura, norme che non abbiano né il rango né la rigidità né i risvolti sanzionatori propri di un Cds. E il cittadino qualunque potrebbe, per converso, leggere tale Codice ricavandone, con immediata chiarezza, la regola di condotta al volante.


Anche in questo modo, insomma, si costruisce la sicurezza stradale. Affinché le strade possano tornare ad essere – per usare le parole del Presidente della Fondazione ANIA, Aldo Minucci: “Simbolo di incontro, di sviluppo, di viaggio e non di pericolo”. Nel 2011, nell’Unione Europea sono morte 30.168 persone a causa di un incidente stradale: 82 decessi al giorno, oltre 3 ogni ora. L’Italia ha fatto molto per contrastare il fenomeno dell’incidentalità: per esempio il bilancio dell’estate 2013 reso noto da Viabilità Italia (il Centro di coordinamento per le emergenze viarie del Ministero dell'Interno presieduto dal Servizio Polizia stradale), di cui si dà conto in altra parte di questa testata, è rappresentativo di un apprezzabile impegno complessivo in termini di uomini e mezzi. Ma non dobbiamo dimenticare che l’Italia non ha raggiunto l’obiettivo fissato dalla Commissione Europea nel 2001, che prevedeva il dimezzamento delle vittime di incidenti stradali entro il 2010. Il nuovo traguardo (un ulteriore dimezzamento del numero dei morti entro il 2020) diventa, quindi, davvero, un “must”.
 

Carlo Sgandurra

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