Stefano Maggi: “Nei prossimi cinque anni mobilità più eco-sostenibile”
Intervista a Stefano Maggi, professore ordinario di Storia contemporanea dell’Università degli Studi di Siena – di Mario Avagliano

Specializzato nello studio dei trasporti e del mutuo soccorso, Stefano Maggi, professore ordinario di Storia contemporanea dell’Università degli Studi di Siena, ha recentemente affrontato il tema della mobilità sostenibile in un agile volume, edito da Il Mulino, dal titolo “Mobilità sostenibile - Muoversi nel XXI secolo in modo intelligente e sano”. Intervistato da “Le Strade dell’informazione”, spiega, attraverso una dettagliata analisi della storia della mobilità del nostro Paese, come riappropriarci del nostro futuro, affidandoci anche alla cultura e alla tecnologia, riscoprendo il nostro passato.
Nel 1948 gli autoveicoli in circolazione in Italia erano 415.272, nel 2018 siamo arrivati 44,8 milioni. Partendo dalla sua esperienza di storico, come si potrebbe invertire questa tendenza?
Purtroppo l’enorme diffusione degli autoveicoli si è prodotta sotto gli occhi di tutti, senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Ogni anno i veicoli a motore in circolazione crescevano, ognuno era spinto a comprare l’automobile, il settore diventava sempre più grande e con un indotto sempre più gigantesco. Pochi hanno provato a frenare questa tendenza, che del resto andava avanti di pari passo con la crescita del benessere e con la diffusione del consumismo. Oggi non abbiamo altra scelta che quella di “democratizzare” la strada, facendo di nuovo posto a pedoni e biciclette, nonché alle corsie per i mezzi pubblici, e togliendo spazio alle auto nei luoghi che non sono adatti per loro, come le piazze e le strade dei centri storici, dei lungomare, delle periferie. Si deve smettere di costruire nuove strade, è il tempo di dedicarsi alla manutenzione di quelle che ci sono e alla sicurezza.
Prima dell’invenzione dell’automobile le persone si spostavano molto meno, il raggio di azione delle loro giornate era limitato dai mezzi in loro possesso (i piedi, le biciclette, mezzi a trazione animale), la tecnologia ci ha portato a far crescere le nostre esigenze, ma con la pandemia, in particolare nel primo lockdown, siamo tornati a una “mobilità di prossimità”. Secondo lei, con il ritorno alla normalità come si potrà costruire un equilibrio fra desiderio di spostamento e limitare il consumo energetico?
L’Italia è arrivata agli anni ’50 del Novecento con una scarsa diffusione dei mezzi a motore, mentre erano già diffuse le biciclette, almeno da due decenni. Le persone si muovevano allora molto meno e con distanze ridotte. La pandemia ci ha fatto tornare indietro: molti anziani avranno ricordato i tempi in cui erano giovani, ma troppe altre persone non hanno ricordato niente, perché la memoria di quei tempi e di quella mobilità – ben più sostenibile della nostra – non si è conservata. Il ritorno alla normalità dovrebbe far riflette sul bisogno di tornare indietro e di riscoprire una vita meno frenetica. Ma questo è difficile, nessuno vuole fermarsi nell’ascesa dei consumi. Non rimane quindi che affidarsi alla cultura e alla tecnologia. La cultura dovrebbe educare i cittadini a “muoversi meglio”, con un minore impatto sull’ambiente: a piedi, in bicicletta, sui mezzi pubblici, usando l’automobile solo quando è indispensabile. E comunque, anche usando l’automobile, ci sono modi di consumare meno energia: per esempio con il car pooling e con il car sharing.
Nel suo libro, “Mobilità sostenibile” (edito da Il Mulino nel 2020), parla di “mobilità insostenibile”, in particolare per quanto riguarda il settore aereo in relazione alle politiche sul clima. Come è stato possibile arrivare a questo punto quando moltissimi studiosi, come ad esempio Rachel Carson, hanno lanciato, più insistentemente, l’allarme già nel secondo dopoguerra e negli anni Settanta era un concetto già ampiamente riconosciuto?
Purtroppo, gli studiosi, o le studiose come Rachel, hanno un’eco per le loro pubblicazioni, ma raramente si ascoltano i loro pensieri nelle politiche attive, sono considerati idealisti. È più facile seguire il “mercato”, perché dà lavoro alle persone e fa “girare” l’economia. Oggi rimango attonito di fronte al fatto che in questo periodo si pensa soltanto al ritorno dei voli, senza che nessuno ricordi i problemi del clima. Non emerge, nel dibattito pubblico, che bisogna passare al treno ovunque possibile.
È ormai troppo tardi o c’è ancora una speranza?
Ho letto molti studi in materia di sostenibilità, ma sono uno storico, non ho le basi per prevedere il futuro. Vorrei credere che un cambiamento nelle politiche della mobilità che orienti le abitudini dei cittadini nel senso di una mobilità sostenibile sia sufficiente a “viaggiare” verso la tutela del pianeta, così come la conversione di altri settori possa portare a cambiamenti epocali, ma non ne sono per niente sicuro. Vedo invece la voglia eccessiva di tornare al consumismo di prima, di continuare l’usa e getta, di proseguire nella sostanziale indifferenza sull’inquinamento. O meglio, a parole sono tutti d’accordo e tutti contro l’inquinamento, nella pratica pochi vogliono cambiare le abitudini sbagliate.
Dopo il lockdown, la ripartenza è stata salutata da alcune amministrazioni e da chi è promotore di modelli di mobilità sostenibile come un punto di partenza per ripensare il sistema. Come andrebbe ripensato secondo lei?
Si è registrato un vivace dibattito, si sono introdotte norme attese da anni, come quelle che semplificano la realizzazione di corsie ciclabibili, si sono dati incentivi alle biciclette e ai mezzi della micromobilità, fra le critiche di chi non ne ha capito il messaggio… e non sono pochi! Il sistema va ripensato con un forte impegno per cambiare le abitudini e questo si può fare soltanto introducendo limiti e divieti, che devono venire dal livello nazionale. La strada – soprattutto nelle città – deve diventare più sicura, deve essere prima di tutto a disposizione dei pedoni, le persone devono inquinare meno possibile quando si spostano. Occorrono politiche coerenti con questi principi, che non si possono lasciare nelle mani degli enti locali, altrimenti ogni volta che cambia la giunta municipale siamo sempre a rischio di tornare al punto di partenza.
Secondo l’architetto Frank Lloyd Wright, le città del futuro avrebbero dovuto estendersi su un piano orizzontale e quindi essere meno densamente abitate, mentre Le Corbusier sosteneva il contrario e quindi uno sviluppo in altezza. Nel Novecento la teoria di quest’ultimo ha decisamente predominato, mentre ora si sta andando sempre di più verso uno sviluppo orizzontale per evitare il surriscaldamento delle aree urbane e un maggior equilibrio fra cemento e ambiente. Questo però non porterà comunque ad un uso più intensivo dei veicoli per spostarsi?
Purtroppo sì, questo assunto porta a un uso maggiore dei veicoli privati a motore, a meno che si dia la prevalenza al mezzo pubblico, creando per bus e tram corsie riservate.
Il sottotitolo del suo libro recita “Muoversi nel XXI secolo in modo intelligente e sano”. Qual è secondo lei la ricetta? Da storico, pensa che possa esserci un vero cambiamento? Come vede la vita fra trent’anni?
La ricetta è semplice, è quella di un manifesto che si trova davanti all’ufficio del sindaco di Pontevedra, in Galizia, Spagna nord-occidentale, la città che è stata riconvertita a un uso prevalentemente pedonale: prima il pedone, poi il ciclista, poi il mezzo pubblico, infine l’automobile o la moto.
Se si considerano le merci, prima la nave e il treno integrati, poi il treno, poi il camion, ma questo significa rovesciare il pensiero dominante da decenni.
Sicuramente fra trent’anni, questi concetti dovranno fare presa, se non altro perché ormai il “mercato” è interessato alla mobilità sostenibile: auto elettriche, auto a guida autonoma, treni e poi autobus a idrogeno. Quindi, scienza e tecnologia si stanno attrezzando per il futuro, è la cultura a essere rimasta finora molto indietro.