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Briciole di pane

Come e perché gli Eurobond possono affascinare anche la Germania

Roma, 2 settembre 2011 - La questione degli Eurobond, che un tempo appassionava pochi addetti ai lavori, è oggi sulla bocca di tutti. E giustamente, sul Foglio di martedì scorso, Vito Tanzi ha ammonito contro il rischio di considerarli la panacea per la crisi dei debiti sovrani. Dall'originario progetto di Jacques Delors, e dal rilancio che Giulio Tremonti ne fece tre anni fa all'Ecofin, molte cose sono cambiate. Sbaglia chi le sottovaluta. Nel progetto di Delors, gli Eurobond dovevano servire a finanziare con debito sovrano dell'Ue grandi progetti comuni di investimento in infrastrutture, ricerca, energia, ambiente. Nella stessa ottica, Tremonti li ripropose all'Ecofin nell'autunno 2008, insieme con i fondi equity europei per il finanziamento di investimenti nei settori delle infrastrutture, dell'ambiente e dell'energia: investimenti "caldi" (cioè suscettibili di remunerare nel tempo il capitale investito). Nonostante iniziali resistenze tedesche e nordiche, i fondi equity hanno avuto successo: i primi due (Marguerite e Inframed) sono già operativi, altri sono in fase di avanzata progettazione. E i tedeschi (KIW) sono della partita. Sugli Eurobond, le resistenze sono state più tenaci. E poi è arrivata la crisi dei debiti sovrani. E' sembrata a molti un'occasione per rilanciare gli Eurobond come uno strumento per mettere gli stati membri al riparo della speculazione. Non più dunque Eurobond per la crescita, ma Eurobond per la stabilità. La garanzia congiunta di tutti i paesi dell'Ue avrebbe avvicinato il costo del servizio (della parte dei debiti sovrani finanziati tramite Eurobond) a quello della Germania. Ma era prevedibile che le resistenze tedesche (e degli altri paesi "virtuosi", come Finlandia, Olanda, Austria) lungi dal venir attenuate, avrebbero finito così per venire rinfocolate ed esasperate, accreditando l'ipotesi di un accollo in ultima istanza ai contribuenti tedeschi dei debiti sovrani dei paesi "periferici" insolventi. Gli "euroentusiasti" hanno probabilmente sottovalutato i cambiamenti politici e culturali che rendono oggi la Germania meno disposta a sacrificare alla costruzione europea gli interessi nazionali e più esposta alla tentazione di scommettere sull'Europa solo se a leadership tedesca. Come ha spiegato Wolfgang Schàuble il problema concerne non il merito, ma le condizioni e i tempi. Il risanamento delle finanze pubbliche dei paesi periferici richiede severe politiche di fiscal consolidation che non rientrano per ora nei poteri dell'Unione. Avviato seriamente il risanamento, garantito (anche costituzionalmente) l'equilibrio dei bilanci nazionali, rafforzata la governance economica europea, avviata l'integrazione delle politiche fiscali, la strada degli Eurobond troverebbe disco verde anche dai tedeschi. E' consigliabile non offrire alimento alle diffidenze tedesche dando l'impressione di volerci sottrarre ai duri esercizi di rigore che ci impone il rinnovato Patto di stabilità. Ed è bene evitare proposte generose ma problematiche, come il conferimento delle riserve auree delle Banche centrali e delle partecipazioni pubbliche industriali in un'unica entità europea (proposta Prodi-Quadrio Curzio) che aprirebbe problemi sia sul versante della Bce e dell'Eurosistema, sia per i conflitti di interesse e le potenziali violazioni del principio di concorrenza dovuti al controllo congiunto di società operanti nei medesimi mercati. Meglio evitare fughe in avanti e operare per far crescere le due iniziative europee che hanno ottenuto, bene o male, anche il consenso del governo tedesco (Bundestag permettendo): il Fondo di stabilità (Efsf) e i Project bond. Una volta ratificate le decisioni del Consiglio europeo di luglio, il Fondo potrà affiancare la Bce in un ruolo di stabilizzazione che ora sta svolgendo da sola. Con i Project bond, l'Ue (congiuntamente alla Bei e probabilmente alle grandi banche pubbliche di sviluppo europee: KfW, Cdc e Cdp) potrà fornire garanzie e capacità tecniche a innalzare il rating dei titoli emessi dai realizzatori dei progetti strategici europei "caldi". Verrà poi il tempo per progetti più ambiziosi.

Franco Bassanini - Il Foglio

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