Grandi opere, diminuiscono le proteste
Ma per capire i dati occorre tenere conto della diminuzione degli investimenti
Roma, 9 luglio 2014 – In Italia diminuisce il numero di casi di infrastrutture contestate. Un segnale positivo che tuttavia – a quanto sembra – nasconde una situazione che non è di sviluppo: a diminuire, infatti, è anche stato il numero infrastrutture su cui si sta lavorando. Per capire meglio, occorre mettere insieme le rilevazioni del Rapporto del Nimby Forum e del Censis. L'Osservatorio Nimby Forum è l'unico strumento su base nazionale che dal 2004 monitora la situazione delle contestazioni contro opere di pubblica utilità e insediamenti industriali in costruzione o ancora in progetto. L’Osservatorio che prende il nome dalla cosiddetta sindrome "Nimby", acronimo che sta per "not in my backyard", ovvero “non nel giardino di casa mia”.
Ciò che emerge è uno spaccato dell’Italia alle prese con le grandi opere che contiene elementi positivi ma anche molti elementi preoccupanti.
Per la prima volta, dunque, nel nostro Paese scende il numero degli impianti e delle infrastrutture la cui realizzazione è oggetto di contestazione: 336 opere nel 2013, con un calo del 5% sul 2012. Ma secondo il Censis, dal 2007 gli investimenti in Italia sono diminuiti del 58%, attestandosi nel 2013 su 12,4 miliardi di euro. La causa della diminuzione di contestazioni sarebbe, secondo il Nimby Forum proprio il calo degli investimenti per nuove opere infrastrutturali.
“Per la prima volta in 9 anni diminuiscono i casi di Nimby, o comunque ritardi e blocchi causati da contestazioni e burocrazia”, ha spiegato Alessandro Beulcke, presidente di Aris, l'associazione che promuove l'Osservatorio Nimby Forum che ha proseguito aggiungendo: “Un dato a cui probabilmente non si può dare una lettura positiva: il Paese è attraversato da una crisi non solo economica ma anche reputazionale, che allontana gli investitori esteri proprio mentre i capitali nazionali si fanno più esigui”.
E’ importante però entrare nel dettaglio dei numeri. Sul totale delle opere contestate, 108 sono i casi emersi per la prima volta nel 2013 e anche da questo punto di vista, si registra un decremento del 29% circa, rispetto ai 152 nuovi focolai apparsi nel 2012.
Interessante anche la tipologia di opere contestate e la localizzazione geografica.
Ad essere più contestato, infatti, sarebbe il comparto elettrico, ancora più del settore rifiuti. Le opere contestate legate all’energia sono 213 (63,4% del totale, percentuale che nel 2004 si fermava all'11,6%). Tendenza inversa per il settore dei rifiuti, che esprime il 25,3% degli impianti contestati (nel 2004 era al 78,8%). Da ultimo, il comparto delle infrastrutture evidenzia 32 opere contestate, raddoppiando la propria incidenza dal 4,8% del 2011 al 9,5% del 2013. E non basta perché, considerando il solo settore della produzione di energia elettrica - esclusi quindi gli elettrodotti, gasdotti - le fonti rinnovabili catalizzano le opposizioni del territorio nell'87,4% dei casi. Per quanto riguarda le infrastrutture legate all’energia, il Nimby Forum coglie poi un fatto: il forte scollamento tra il teorico sostegno alle tecnologie “verdi”, diffuso presso cittadini e opinion leader, e le reazioni “nimby” riservate a questi progetti sui territori. La classifica degli impianti più contrastati per tipologia è guidata proprio dalle centrali a biomasse, alimentate quindi da una fonte rinnovabile: con 111 strutture contestate, questa categoria supera ampiamente discariche, termovalorizzatori e impianti eolici (22 opposizioni) e le infrastrutture autostradali (19).
Ma chi è che contesta? E dove?
Secondo l’Osservatorio, in termini assoluti, restano prevalenti le contestazioni di matrice popolare con il 32,2%. Con il 13,9% - in crescita rispetto al 9,8% del 2012 - seguono le opposizioni espresse da associazioni ambientaliste. E’ interessante poi osservare che la preoccupazione per l'impatto ambientale non rappresenta più la prima ragione alla base delle contestazioni, con una incidenza che passa dal 37% del 2012 al 20,6% del 2013. Al primo posto, Nimby Forum colloca, invece, i timori per la qualità della vita, con un 21%. Seguono le opposizioni per carenze procedurali e di coinvolgimento (17,5%) e la paura per la salute pubblica (14,8%).
Dal punto di vista geografico, si contesta maggiormente nelle regioni del Nord, con Veneto e Lombardia investite rispettivamente da 54 e 50 focolai Nimby. Segue l’Abruzzo al quinto posto dell'Abruzzo, mentre la Basilicata si colloca al penultimo della Basilicata. Quest'ultima esprime 2 soli impianti contestati, nonostante il livello di scontento della popolazione verso le infrastrutture petrolifere e le prospettive di nuove estrazioni sia generalmente alto.
I contestatori – è un’altra osservazione del Rapporto -, monopolizzano anche il flusso di comunicazione, esprimendo l'83% delle iniziative rilevate.
Per capire a fondo la situazione, tuttavia, sono necessarie anche le rilevazioni del Censis. Secondo il centro infatti, dall'inizio della crisi gli investimenti diretti in Italia sono diminuiti del 58%, attestandosi nel 2013 su 12,4 miliardi di euro. Tra le cause, fattori come procedure, tempi e costi necessari ad ottenere permessi e avviare un progetto. A fare il pari con tutto questo, anche le stime delle Nazioni Unite (Unctad - United Nations Conference on Trade and Development), che evidenziano come, nel 2012, gli investimenti diretti esteri abbiano subito una drammatica contrazione nel mondo (-18%) come in Italia (-70%), rispetto all'anno precedente.