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Eurobond per le nuove reti

Coinvolgere le società di energia e trasporti agevola opere transnazionali

Il dibattito apertosi sul Sole 24Ore dopo la proposta di Prodi e Quadrio Curzio sull'ipotesi degli Eurounionbond (Eub) emessi da un Fondo finanziario europeo (Ffe) è stato molto ampio e non è facile da sintetizzare. Gli apprezzamenti positivi alla proposta sono stati prevalenti, mentre tre sono i principali approcci critici emersi: una prima categoria di giudizi sostanzialmente favorevoli esprime perplessità sulle modalità tecniche di costituzione del Ffe e di emissione degli Eub; una seconda categoria di giudizi è più negativa non tanto sull'idea in sé degli Eub ma sul fatto che essi dovrebbero essere destinati alla crescita più che alla stabilizzazione dei debiti; una terza categoria è di giudizi nettamente negativi, sulla base del presupposto che non si capirebbe per quale ragione i Paesi più solidi dovrebbero sacrificarsi ulteriormente per i Paesi meno virtuosi dando vita all'Ffe e all'emissione degli Eub.

In realtà, è per superare quest'ultimo genere di perplessità che nasce la proposta di Prodi e Quadrio Curzio. Il progetto degli Eub non si può semplificare nell'esempio dei due soli Paesi europei, Germania e Grecia. Il progetto degli Eub, al contrario, vede protagonisti tutti i 17 Paesi dell'Eurozona. Ma in particolare, parteciperebbero come soggetti fondanti principali dell'Ffe, oltre alla Germania, la Francia e l'Italia. Infatti, la maggior parte del capitale Ffe, secondo la proposta di Prodi e Quadrio Curzio, sarebbe costituita dalla Germania (con conferimenti di 280 miliardi di euro circa tra riserve auree e quote di società pubbliche tedesche) ma anche dalla Francia (con circa 200 miliardi apportati allo stesso modo) e dall'Italia (con oltre 180 miliardi). Francia e Italia insieme (380 miliardi) contribuirebbero addirittura molto più della Germania al capitale dell'Ffe.

Quella degli Eub è un'ipotesi estremamente innovativa, che segna un cambio di passo decisivo rispetto a tutti gli schemi precedenti di eurobond: un'ipotesi grazie alla quale, come spiegano Prodi e Quadrio Curzio, «il timore tedesco di pagare i debiti altrui dovrebbe placarsi». In particolare, l'Italia, conferendo oro e quote azionarie di aziende pubbliche nazionali, farebbe in pieno la sua parte, non come "parente povero" ma come soggetto che dispone di asset reali significativi. Le riserve auree italiane sono addirittura più alte di quelle della Francia. Mentre, per un confronto, la Spagna ha riserve auree più basse di quelle del Portogallo.

Tutti sono consapevoli che la proposta degli Eub non deve far passare in secondo piano l'esigenza fondamentale che i diversi Paesi e in particolare quelli più indebitati debbano in primis ridurre i loro debiti, con politiche fiscali rigorose. Proprio per questa ragione, l'Ffe, accollandosi una parte significativa del debito pubblico dell'Eurozona, dovrebbe poter avere un ruolo cruciale nel processo del semestre europeo a integrazione o surroga delle procedure previste, con compiti di "sorveglianza" sui processi di ristrutturazione dei debiti sovrani più delicati. Ciò implicherebbe una parziale rinuncia di sovranità da parte dei Paesi meno virtuosi, Italia inclusa, tema di cui si è occupato Giuliano Amato nel suo intervento su questo giornale domenica scorsa.

In merito alle osservazioni sollevate da alcuni secondo cui lo sforzo dell'Europa dovrebbe essere indirizzato soprattutto alla crescita, è bene ricordare che della stessa Prodi e Quadrio Curzio non si dimenticano affatto. Essi spiegano chiaramente che l'Ffe, con il suo capitale di 1.000 miliardi di euro, potrebbe indebitarsi con una leva di 1 a 3 fino a 3.000 miliardi e utilizzare questa somma nel modo seguente: 2.300 miliardi per acquistare titoli di debito pubblico dei vari Stati (per esemplificare, abbassando il debito/Pil di Germania e Francia verso il mercato sotto il 60% e quello dell'Italia al 95%); i restanti 700 miliardi verrebbero invece utilizzati a favore della crescita europea con un piano d'investimenti infrastrutturali pro quota tra i vari Paesi. Se la stabilizzazione del debito è l'obiettivo principale nell'emergenza attuale, la crescita non è dunque messa per nulla in secondo piano e anzi costituisce un obiettivo di fondo. All'Italia "spetterebbero" circa 125 miliardi per investimenti: cifra che nessuna finanziaria sarebbe mai in grado di mettere insieme e che genererebbe un importante moltiplicatore nel sistema economico.

Del resto, l'idea di poter uscire dalla crisi dei debiti sovrani solo con la modesta crescita attuale dell'Eurozona è una pura illusione. Il debito pubblico tedesco sta ormai sfiorando i 2.100 miliardi di euro, cioè è di circa 200 miliardi più alto in valore assoluto di quello italiano, con una ricchezza privata che in Italia e Germania è esattamente uguale (anche se l'Italia ha 20 milioni di abitanti in meno). Il debito pubblico francese collocato all'estero, in rapporto al Pil, è alto esattamente come quello italiano e quello tedesco è solo di poco inferiore. La crescita langue ovunque, non solo in Italia. Nel secondo trimestre 2011 l'incremento congiunturale del Pil è stato nullo in Francia ed è stato solo dello 0,1% in Germania, con un crollo in entrambi i Paesi dello 0,7% dei consumi privati. Studiare uno schema serio di stabilizzazione del debito pubblico in Europa è interesse di tutti, non soltanto dei Paesi più deboli.

Sull'ipotesi degli eurobond si sono spesi in passato non solo Tremonti e Juncker, con il loro articolo apparso sul Financial Times, ma anche e in più occasioni l'ex commissario europeo Monti (si veda, ad esempio, l'articolo del 2 dicembre 2010 sul Corriere della Sera). Mentre sull'infondatezza dell'opposizione tedesca agli eurobond si è espresso con approfondite riflessioni Vincenzo Visco (la Repubblica, 9 dicembre 2010).

D'altro canto, bisogna riconoscere che l'idea di apportare all'Ffe, a complemento dell'oro, quote di aziende tipo Eni, Enel e simili, ipotesi sulla quale diversi commentatori hanno manifestato dubbi, può presentare qualche elemento di debolezza. Si aprirebbe (e, infatti, si è già aperto) un dibattito sul "vero valore" di tali partecipazioni; ci si potrebbe scontrare con diverse visioni delle politiche industriali dei vari Paesi (ad esempio, cosa direbbe la Francia dell'ipotesi di separarsi di una parte di Edf?). Inoltre, si creerebbero problemi antitrust per la concentrazione di aziende operanti nello stesso settore nei confronti delle società analoghe private e quindi non apportate.

Per superare questi possibili problemi, una proposta migliorativa a quella Prodi e Quadro Curzio è quella di conferire all'Ffe quote di società proprietarie di reti. Ad esempio, reti elettriche ad alta tensione (come Terna in Italia), reti gas ad alta pressione (come Snam rete gas), reti autostradali, reti ferroviarie, reti di telecomunicazioni pubbliche. I vantaggi dell'apporto delle reti nell'Ffe sono evidenti: si tratta di asset strategici per l'Europa, sui quali l'Ffe può utilmente investire per potenziare il sistema infrastrutturale aumentando la competitività del sistema economico europeo; si risolverebbe la vexata quaestio dell'umbundling delle reti, oggi prevista con metodologie di separazione funzionale dei poteri estremamente complesse e probabilmente inefficaci; si doterebbe il capitale dell'Ffe di quote di asset regolati, cioè con redditività praticamente esente da rischio.

Una proposta ulteriore potrebbe essere quella di affiancare alle reti, negli apporti al capitale dell'Ffe, anche quote del patrimonio immobiliare pubblico dei vari Paesi. Ogni Paese potrebbe creare un fondo immobiliare con immobili utilizzati e affittati dall'amministrazione stessa. Il valore degli immobili sarebbe calcolato in funzione del valore locativo. I vantaggi sarebbero: semplicità di realizzazione, in quanto l'apporto al fondo sarebbe estremamente più rapido e trasparente delle normali procedure di vendita (non per nulla è da anni che si parla della vendita del patrimonio italiano ma senza esito); dotazione dell'Ffe di una fonte di reddito certa e non soggetta a rischi di mercato.

Marco Fortis e Umberto Quadrino (fonte: Il Sole 24Ore, 6 settembre 2011)

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