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Briciole di pane

Passera: Patto per l'Italia

"Subito un grande patto per la produttivirà"

Roma, 30 agosto 2012 - Alla vigilia del Consiglio dei ministri che domani dovrebbe discutere la prima parte dei provvedimenti sulla crescita, il ministro per lo sviluppo economico, Corrado Passera, in questa intervista alla "Stampa" lancia un appello alle parti sociali perché si arrivi a «un grande patto per la produttività». Una intesa che, recuperando i quasi 10 punti di distacco che su questo aspetto abbiamo rispetto ai principali paesi europei, consenta alle aziende di tornare in condizioni di competitività sui mercati internazionali e ai lavoratori di aumentare le loro retribuzioni.
Ministro, è arrivata finalmente l'ora della "fase due" del governo Monti, quella della crescita...
“Altolà. Nessuna "fase due". L'agenda per la crescita è nata insieme al "Salva Italia". La messa in sicurezza dei conti e la creazione delle condizioni per la crescita, fin dal primo giorno dell'esistenza di questo governo, sono in parallelo. E' vero che nel "Salva Italia" c'è la riforma delle pensioni e l'Imu, ma cui sono anche i 20 miliardi di garanzia per il credito alle piccole e medie aziende, ci sono i 14 miliardi per incentivare gli imprenditori a rafforzare i patrimoni aziendali (Ace) e ad assumere. Intanto sono arrivate le liberalizzazioni, le semplificazioni, il decreto sulla crescita, gli interventi sull'energia, sulle infrastrutture e l'edilizia, i project bond e il diritto fallimentare, solo per fare alcuni esempi.
Si, ma l'impressione è che, in Italia, agli annunci dei governi, anche all'approvazione delle leggi da parte del Parlamento segua un'applicazione pratica molto lenta e difficile, per cui l'efficacia dei provvedimenti risulti molto scarsa. Non sarà così anche per l'agenda della crescita?
“E' proprio per questo che abbiamo cambiato rispetto al passato: sui cantieri, per esempio, vogliamo che tutto sia controllabile dai cittadini attraverso il sito "cantieri Italia" che specifica per ciascun progetto i finanziamenti, l'andamento dei lavori e gli eventuali problemi. La stessa filosofia ha portato alla norma che impone a tutte le istituzioni pubbliche di indicare sul proprio sito, appena si erogano fondi, a chi sono destinati, quanto si è dato e per che cosa. Questo tipo di trasparenza, questo senso di responsabilità nel rendere conto di come si spendono i soldi pubblici può cambiare molto nel costume della gestione dei soldi dello Stato, cioè dei cittadini”.
A questo proposito, quale dev'essere il ruolo dello Stato per lo sviluppo di un Paese, quello d i regista o esclusivamente di regolatore del mercato?
“Se crediamo nell' economia aperta e vogliamo crescere nel mercato globale, la visione dello Stato che dirige la crescita e che decida in quale settore devono investire le imprese, è assurda e inapplicabile: fa parte di un mondo che non c'è più e che, tra l'altro, ha dato pessimi risultati. Ma lo Stato può fare molto per agevolare la crescita sostenibile. Lo Stato deve creare le migliori condizioni di contesto: buone regole e controlli adeguati, infrastrutture moderne, giustizia veloce - oltre che giusta - , istruzione che crei le competenze richieste dalla società e dall'economia, una pubblica amministrazione efficiente. Lo Stato deve incoraggiare fiscalmente gli imprenditori che investono in innovazione, che vanno alla conquista di mercati esteri e crescono dimensionalmente. Di più, lo Stato deve intervenire su tutti gli "spread" negativi...”.
Pensavamo di aver imparato che cosa è uno spread, adesso scopriamo che ce ne sono altri.
“Non solo paghiamo i nostri finanziamenti 4 0 5 punti percentuali più dei nostri concorrenti, ma - ad esempio - paghiamo l'energia più degli altri e abbiamo costi diretti e indiretti della burocrazia più alti. Tutto in Italia soprattutto per le imprese è più difficile, lungo, complicato nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. E' necessario semplificare e poi ancora semplificare. Per questa ragione due decreti sono stati già messi a punto - e uno già tramutato in legge - e ne stiamo elaborando altri in stretta collaborazione con il mondo delle imprese da una parte e con la Funzione Pubblica dall'altra”.
La settimana scorsa al Meeting di Rimini lei ha fatto un quadro preoccupato dei nostri ultimi 15-20 anni in termini di investimenti, di crescita, di spesa corrente e, soprattutto, di produttività.
“In questi anni ci siamo mangiati il dividendo dell'euro - cioè minori interessi per quasi 500 miliardi - e circa 200 miliardi di privatizzazioni e dismissioni, abbiamo ridotto quasi a zero gli investimenti per il futuro a favore di una spesa corrente che è cresciuta più che in qualsiasi altro Paese europeo. Ora, ci troviamo al massimo del disagio occupazionale, con una fiscalità record mondiale, per chi le tasse le paga, ma con una enorme evasione: i 2000 miliardi del nostro debito pubblico possono anche essere visti come 100 miliardi di evasione all'anno per 20 anni. Nessuno in questo bilancio può dirsi innocente e senza responsabilità.
Un fardello pesante, ce la possiamo fare?
“Certamente abbiamo imboccato la strada giusta, ma non dovremo abbassare la guardia per parecchi anni. Oggi i conti pubblici sono sotto controllo e dal punto di vista del deficit l'Italia è tra i Paesi più virtuosi in Europa. La spending review è in corso, gli strumenti per combattere più efficacemente l'evasione fiscale sono stati messi a punto, la valorizzazione di parte del patrimonio pubblico potrà aiutarci a ridurre progressivamente il debito. Molti fattori che determinano la produttività di sistema - prima di tutto le infrastrutture - sono stati attivati e riceveranno nuovo impulso nei prossimi mesi. Rimane però da affrontare il più grave degli svantaggi competitivi: quello relativo alla produttività del lavoro. Più che nelle mani della politica, questo fondamentale fattore di competitività e di crescita è nelle mani delle parti sociali. Se guardiamo a questo dato, comunque lo si voglia calcolare, vediamo che, in 10-15 anni, abbiamo perso almeno 10 punti rispetto alla media europea, ancora di più rispetto alla Germania e alla Francia. E' una situazione da affrontare tutti insieme con grande urgenza: il rischio di uscire dal mercato in moltissimi settori è molto elevato”.
Su questo punto, però, il sindacato non sembra molto disponibile...
“Per mia esperienza, sia nell'industria che in banca che alle Poste, ho potuto constatare che quando al sindacato si presentano grandi progetti di ristrutturazione, ma anche di rilancio, quando i sacrifici si distribuiscono equamente così come i benefici, quando c'è un progetto condiviso, il sindacato c'è e ci sta. Naturalmente bisogna parlarsi chiaro e sulla produttività lo sappiamo tutti che lo spazio è significativo: la prospettiva è di mettere in tasca ai lavoratori più soldi, perché parte di quell'aumento di produttività deve andare a loro, mentre l'altra parte deve mettere le aziende in grado di competere più efficacemente sul mercato”.
Questa sarebbe "la sana concertazione" di cui parlava a Rimini?
“Certo. Vuol dire fare il possibile per trovare soluzioni condivise per problemi comuni, senza confusioni di ruoli, né diritti di veto. Fare della produttività un punto di forza del nostro paese necessita un forte patto e un impegno condiviso da imprese e sindacato. Lo Stato può accompagnare questo sforzo con normative ed incentivi adeguati, ma prima di tutto dobbiamo convincerci che anche il nostro Paese ha la volontà di realizzare in poco tempo un grande recupero del tipo di quello che dieci anni fa la Germania ebbe il coraggio di fare”.
Quindi per riassumere: forte spinta alla competitività delle imprese e del Paese per ricominciare a crescere con piena responsabilizzazione delle parti sociali sul recupero di produttività.
“Sì, ma non basta perché la crescita sostenibile ha bisogno non solo di competitività, ma anche di coesione sociale. Il welfare è fondamentale: deve sapersi adattare ai mutamenti demografici come è stato necessario fare per la previdenza. E' una conquista di civiltà da rafforzare in tutti i campi: dalla sanità all'assistenza, dalle politiche perla famiglia a quelle per rendere occupabile chi il lavoro non ce l'ha ancora o non ce l'ha più. Il Terzo Settore può giocare un ruolo crescente e sempre più qualificato. In questi anni il privato sociale ha creato più posti di lavoro di molti altri settori del privato profit e del pubblico e ha portato esempi di sussidiarietà che indicano un modello da seguire in molti campi”.
Ministro, parliamo, infine, un po' di politica. Si vagheggia di grandi centri, di rose bianche, dell'ipotesi di una rinascita del partito cattolico. Lei ritiene utile che i cattolici si ritrovino in un partito unico?
“No. Io condivido l'idea che i valori a cui si ispirano i cattolici possano arricchire molte formazioni politiche e che non sia necessario, né opportuno creare un partito dei cattolici”.
Allora, le faccio una domanda personale. Lei, dopo questa esperienza politica, pensa di tornare a fare il manager o le piacerebbe continuare questo lavoro?
“Lavorare oggi per il mio Paese è un onore e una grande responsabilità. Non mi tirerò certo indietro se ci sarà la possibilità di continuare il risanamento e il rilancio del nostro Paese che il Governo Monti ha impostato e che riceve il consenso di tutto il mondo, come è avvenuto anche oggi a Berlino. Ora però devo pensare a tutto ciò che posso attivare come Ministro per creare crescita sostenibile e occupazione”.
Prossimi impegni in questo senso?
“Agenda digitale, start-up, attrazione degli investimenti esteri, semplificazioni, piano aeroporti, strategia energetica, legge sulle Pmi e poi la ricerca di soluzioni sostenibili per i 100 tavoli di crisi aziendale sui quali sono impegnato ogni giorno”.
Che cosa ne pensa della decisione di escludere il ministro del Lavoro Fornero dalle Festa del Pd?
“Un errore grave e inspiegabile”.
I rapporti con i partiti rischiano di essere più difficili man mano che si avvcinano le urne: cosa si augura per questi ultimi mesi?
“Di continuare a lavorare con il Parlamento fino all'ultimo giorno così come è avvenuto fino ad oggi: siamo riusciti - insieme - a completare in pochi mesi un lavoro che in altre situazioni avrebbe necessitato anni e in molti casi i provvedimenti sono stati ulteriormente migliorati nel corso dei lavori. Serve poi una legge elettorale che garantisca governabilità, evitando coalizioni troppo eterogenee e ricattabili e che riapra la partecipazione dei cittadini permettendo agli elettori e non solo alle segreterie dei partiti di scegliere i propri rappresentanti”.

Luigi la Spina - La Stampa

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