Codice appalti: le imprese di costruzioni dicono no al tetto alla riserve
Appaltatori orfani delle riserve
Roma, 27 giugno 2011 - Con il decreto Sviluppo lo strumento lo strumento che finora aveva consentito ai costruttori di rientrare da spese aggiuntive, di sanare eventuali carenze del progetto, ma anche di recuperare rispetto all'offerta a prezzi stracciati, viene praticamente cancellato in un colpo solo. La norma lascia ancora in vita, in teoria, il meccanismo della riserva che prevede che quando l'appaltatore incontra in cantiere un imprevisto, un errore progettuale o un qualsiasi altro impedimento che fa aumentare i costi di più del 10% iscrive sul registro di contabilità dei lavori una riserva. Si tratta di una somma, aggiuntiva rispetto all'importo pattuito nel contratto, che l'appaltatore chiede all'amministrazione. Sui contratti sotto i dieci milioni a decidere delle riserve è il responsabile del procedimento, attraverso una procedura di transazione definita «accordo bonario». Sopra i dieci milioni, la decisione spetta a una commissione di esperti nominati dalle parti. Se l'accordo bonario fallisce si può ricorrere all'arbitrato.
Il decreto sulla riserva impone quindi un tetto del 20% massimo rispetto all'importo del contratto di appalto. Ma l'effetto dirompente è legato a un piccolo comma, che viene subito dopo il tetto: «Non possono essere oggetto di riserva - recita il comma 1-bis del nuovo articolo 240 del Codice appalti - gli aspetti progettuali che, ai sensi dell'articolo 112 e del regolamento, sono stati oggetto di verifica». In pratica, nessuna riserva è più ammessa se il progetto è stato verificato. E dall' 8 giugno scorso (data di entrata in vigore del Regolamento di attuazione del Codice appalti) tutti i progetti devono essere validati e verificati. Di fatto quindi impedire le riserve sui progetti verificati, equivale a escluderle per tutte le opere. Ed è proprio questa norma del Dl 70/2011, uscita indenne dal primo esame del Parlamento, che pesa di più agli appaltatori. A volerla è stato direttamente il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, convinto che proprio le riserve siano uno dei meccanismi che più fanno lievitare i costi delle opere pubbliche. E a lui hanno scritto nei giorni scorsi le grandi imprese di costruzioni riunite nell'Agi per chiederne la cancellazione. Per l'Agi la norma impone «forti limitazioni alla tutela delle imprese appaltatrici a fronte dei danni loro derivanti da erro- ri e/o carenze dei progetti posti a base delle gare». In altre parole, se nonostante la verifica, il progetto risulta comunque carente, è sempre e soltanto il costruttore a farne le spese. Da Agi, Ance e Legacoop era arrivata la proposta di prevedere almeno la possibilità per le imprese di rivalersi sul progettista e sul validatore, con una richiesta di risarcimento danni. In alternativa, le stesse associazioni avevano chiesto di avviare durante la gara un confronto preliminare tra imprese, amministrazione e progettista per individuare da subito eventuali errori. Niente da fare: questi emendamenti non sono stati approvati. Nessun ammorbidimento è arrivato anche per il taglio degli indennizzi per gli aumenti eccezionali dei materiali: già oggi, dopo lo stop alla revisione prezzi dell'era post-Tangentopoli, in caso di aumenti gli appaltatori possono chiedere un indennizzo e solo in casi «eccezionali». Ora le somme ottenute vengono comunque tagliate a metà.
Appalti: integrazione automatica da venerdì prossimo
Decreto sviluppo, appalti: ridurre tempi e costi
Appalti pubblici, il processo di modernizzazione avviato dall'Unione Europea